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Si prospetta un anno in chiaroscuro per la conceria italiana. Dopo un 2021 chiuso a quota 4,2 milioni di euro di ricavi (+17,5%), di cui 2,9 generati dall’export, per le aziende specializzate nel settore conciario è emersa una contrapposizione tra la performance del primo semestre 2022, tornato ai livelli pre-Covid, e una seconda metà dell’anno penalizzata dalle criticità della congiuntura macroeconomica, che ha fatto impennare i costi di produzione.

Guardando ai dati di UnicConcerie Italiane, nei primi sette mesi il valore della produzione è cresciuto del 10,3% su base annua, quello delle esportazioni del 10,8% e tutti i distretti italiani risultano in crescita con intensità simili, così come le tipologie di pelle. In estate, però, il panorama si è fatto più complesso. Al rialzo di tutti i costi di produzione, da quelli energetici (+360% in media) ai prodotti chimici (+31%), si è aggiunto il raffreddamento della domanda, alle prese con le incertezze dello scenario internazionale.

“I primi dati sul terzo trimestre – ha spiegato Fabrizio Nuti, Presidente di Unic, si legge su Mf Fashion – mostrano cali medi attorno al 10% e, se il trend fosse confermato anche a fine anno, non solo non assisteremmo ancora al pieno ritorno del settore ai risultati antecedenti la pandemia, ma sarebbe anche probabile chiudere l’esercizio in corso con qualche segno negativo”.

E anche gli sviluppi del 2023 restano difficili da pronosticare a fronte delle incognite prospettate. “In questo clima di scarsa serenità – commenta ancora Nuti – è anche complicato fare previsioni su cosa succederà nel 2023. Difficile pensare a un chiaro e consistente recupero in assenza di un raffreddamento, anche solo parziale, dei conflitti internazionali: c’è il rischio che si continui a galleggiare nella stagnazione di mercato anche nei prossimi mesi”.

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