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Immaginereste mai che Roberta Metsola, la presidente dell’Europarlamento colpito dallo scandalo mazzette, la sbandieratrice dello slogan «tolleranza zero», possa ritrovarsi felicemente nella stessa stanza, a Roma, assieme all’ambasciatore italiano a Doha? È quello che sta per accadere, oggi, alla Farnesina, alla conferenza degli ambasciatori. E che dire di Catherine Colonna, la ministra francese che oltre agli Esteri ha la delega all’Europa, e che in pieno affaire corruzione è volata a Rabat per disegnare «orizzonti comuni» con il Marocco? Sarà che i governi sono i primi ad avere un senso troppo labile per la sfera pubblica europea, sarà che nelle capitali la Realpolitik è l’unica regola, fatto sta che l’Italia e la Francia viaggiano pienamente in sintonia su una cosa: per i due governi è come se la Tangentopoli europea non fosse mai accaduta. Non che la Germania faccia diversamente: il vicecancelliere Robert Habeck ha già tenuto a chiarire che il gas qatariota ci serve. Business as usual, insomma, per le capitali Ue.

La (non) reazione italiana

Oggi e domani, alla Farnesina, si tiene la conferenza degli ambasciatori d’Italia nel mondo. Il nostro rappresentante in Marocco si collegherà, mentre Paolo Toschi, l’ambasciatore in Qatar, arriverà da Doha. E si ritroverà quindi allo stesso evento con Metsola, ospite d’onore della sessione inaugurale presidiata ovviamente anche dal ministro degli Esteri. Antonio Tajani non può non conoscere bene l’attualità dell’Europarlamento, del quale è stato presidente. Se il giudice belga Michel Claise ha fatto finire i nomi di Antonio Panzeri, Francesco Giorgi, Eva Kaili su tutti i quotidiani, è perché indaga sulla corruzione promossa da paesi terzi; e nel mirino ci sono Qatar e Marocco.

Dalla Farnesina si schermiscono: le indagini faranno il loro corso, verranno acclarate le responsabilità personali. Quelle degli eventuali corrotti, certo. Ma come mai tutta questa nonchalance verso i paesi sospetti corruttori? La postura dell’Italia nei rapporti bilaterali con Qatar e Marocco non è stata riconsiderata affatto. Tutto come prima: lo stesso approccio vale anche al ministero dello Sviluppo economico.

E dire che Adolfo Urso, il meloniano ministro per il made in Italy, ha ben presente le ingerenze straniere «anche in paesi europei: quando ero a capo del Copasir, nella nostra ultima relazione abbiamo citato il documento dell’Europarlamento sulle ingerenze e lì venivano citati alcuni paesi che utilizzavano strumenti di ingerenza. Tra quei paesi c’era anche il Qatar: era espressamente citato», ha ricordato Urso dopo che la Tangentopoli europea è esplosa.

Ma quando poi si tratta del suo ministero, che si occupa di imprese, tutte le conoscenze attuali e pregresse paiono svanire. Non è che quando succedono queste cose cambiano i rapporti in automatico, non c’è nessuna allerta, spiega lo staff del ministro.

La leva del gas

«Da diversi mesi gli inquirenti belgi sospettano che un paese del Golfo influenzi le decisioni economiche e politiche del parlamento Ue», avvertiva la nota che ha accompagnato le perquisizioni del 9 dicembre, alle quali hanno poi fatto seguito arresti e ritrovamenti di contanti. Certo, molto è ancora da chiarire, ma gli europei se si mettono d’impegno possono contare una a una le banconote perquisite.

Il Qatar nega ogni coinvolgimento e – ora che il parlamento Ue ha congelato i dossier qatarioti e prova a tenerne alla larga i lobbisti – ricatta: «Queste restrizioni che limitano la cooperazione prima che l’iter legale si concluda avranno un impatto negativo anche nel dialogo in corso sulla sicurezza energetica». Doha usa il gas come leva. E a quanto pare le capitali sono sensibili al tema: teniamo ben distinte le cose, ha chiesto il vicecancelliere tedesco la settimana scorsa. «La corruzione è un reato penale e il commercio con altri paesi deve sempre essere contemperato con le conseguenze morali. Però dobbiamo assicurarci la sicurezza delle forniture», ha detto Robert Habeck.

Anche alla Farnesina ricordano bene che di recente sono stati stretti accordi per l’approvvigionamento energetico, e che sono state aumentate le nostre forniture dal Qatar. Mentre l’Europa prova a emanciparsi dalle forniture russe, «intanto ci rendiamo dipendenti da altri autocrati: non abbiamo imparato nulla?», come dice l’eurodeputata olandese Sophie in’t Veld.

Rabat sente, Parigi non vede

A Bruxelles era già emerso il coinvolgimento anche del Marocco, nello scandalo, quando la ministra francese Colonna è volata a Rabat. E non per chiedere al suo omologo, il ministro degli Esteri marocchino, come mai l’ambasciatore del Marocco in Polonia sia nell’affaire corruzione, né per chiedere spiegazioni in virtù della delega all’Europa che Colonna veste. Venerdì scorso la ministra francese era in Marocco per la ragione opposta: per ricucire, e preparare il terreno per la visita di Macron a inizio 2023.

«Sono commossa per la vostra accoglienza, c’è grande vicinanza tra Francia e Marocco su molti dossier, e quanto al futuro, abbiamo una forte volontà di convergenza», ha detto Colonna nella sua visita marocchina. In realtà non è che negli ultimi tempi i rapporti tra i due paesi fossero idilliaci, anzi. Il presidente francese era tra gli spiati dal Marocco col software Pegasus. Come ha raccontato a Domani in’t Veld, Eva Kaili, l’ormai ex vicepresidente del Parlamento Ue beccata con le mazzette, aveva provato a frenare le iniziative europee volte a fare chiarezza su Pegasus.

«Sul caso dello spionaggio, che ha riguardato anche giornalisti e opposizione, l’opinione pubblica francese si è mobilitata, ma Macron invece ha regolato tutto in privato, con un incontro di mesi fa col governo israeliano, nel quale ha con ogni probabilità chiesto che nessun telefonino francese fosse bersagliato», spiega il giornalista e storico Dominique Vidal. «Ora Macron e Colonna vogliono stabilizzare i rapporti col Marocco anche per le tensioni in corso nella regione. Sono realisti». Macron, per quanto sventoli a piacere la bandiera europeista, di realismo è campione: è stato lui, due anni fa, a omaggiare con tappeto rosso e legione d’onore al Sisi.

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