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Andrea Cionci

Andrea Cionci

Storico dell’arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall’Afghanistan e dall’Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo “Eugénie” (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi – vive una relazione complicata con l’Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Finalmente la tela è caduta: un’opera realizzata in due anni ha mostrato papa Benedetto tale e quale, per come è oggi. QUI  Attorno a lui, nella clausura del monastero Mater Ecclesiae, si raccoglie ciò che resta della Famiglia Pontificia: non più protonotari, cappellani, elemosinieri, ma il fedelissimo Mons. Gaenswein, che, con una penna sottile, si appunta, diligente, le parole di Benedetto XVI – come Baruc, segretario del profeta Geremia – per riferirle al mondo esterno QUI  . Poi ci sono le Memores Domini, le pie donne che curano la persona del papa. Mons. Georg Ratzinger, appena in secondo piano, “dietro al velo” della morte, veglia sul fratello Benedetto XVI, il pontefice più longevo della storia, come ha ricordato il suo biografo Peter Seewald durante il convegno del 30 ottobre a Madrid. QUI 

Così, Natalia Tsarkova, famosa pittrice russa, interprete ispirata di una commissione pontificia, ha fatto vedere al pubblico, il 3 ottobre, una grande composizione artistica, ricca di luci inaspettate, ombre trasparenti, velature cangianti e simbolismi allegorici. QUI .

Nel monastero, l’atmosfera generale è corrusca, drammatica, ma carica di un’intima serenità e di amore per un papa ancora lucidissimo e coraggioso nella sua fortezza. In effetti, si intravede la luce dell’alba: pare quel mondo nuovo di cui parla Benedetto al quale lui sente di appartenere già, ma che ancora non è iniziato.

“Brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato” spiegò il card. Sodano subito dopo la Declaratio del 2013 QUI e, come una stella, sebbene defilato, brilla lo stemma di papa Ratzinger. Il simbolo – araldicamente elegante e originale – del suo pontificato rimasto in vigore fin dal 2005: anche non essendo più il “pontefice sommo” come lui disse a Castelgandolfo nel 2013, QUI  papa Benedetto lo ha comunque mantenuto. QUI 

Nel quadro, realizzato dalla Tsarkova di propria iniziativa, (potete ammirarlo QUI  ) la suora a destra cuce un bottone sulla talare bianca di Benedetto, con le 33 asole, tante quanti gli anni di Cristo. Quella talare che papa Ratzinger ha conservato perché, come scrisse nel 2016 al vaticanista Tornielli, era “la cosa più pratica e non aveva altri vestiti disponibili”. QUI Sopra, un’altra Memores che spiega una tovaglia, con lo stesso gesto di una Veronica.

Colpisce l’angelo custode in armatura: iconograficamente pare l’arcangelo Michele, figura escatologica,  (nel quale non è difficile riconoscere la pittrice), inginocchiato e con uno sguardo adorante verso il Santo Padre, mentre gli porge carte, documenti e un grosso libro chiuso. Spiega la Tsarkova che l’angelo indica gli altri libri ammonticchiati dicendo: “Santo Padre, guarda questi libri che hai scritto. C’è molto altro da pubblicare per dare luce ai tuoi scritti”. Ed è proprio così, vista la potenza dell’errore e l’incomprensione che gravano su questo grande papa.

E le rose, portate da una Memores, appena colte nel roseto, simbolo della Madonna, ma anche del martirio. Poi i dettagli, il gatto rosso di papa Benedetto fuori San Pietro: la bestiola, dal noto significato spirituale cristiano, QUI  si lecca lo zampino perché – credono i russi – aspetta un ospite che sta per uscire dal Vaticano: Francesco.

In alto, evanescente, la colomba dello Spirito Santo che, grazie all’investitura divina, assiste il successore di  San Pietro la cui basilica,  tempio del Signore , come per Geremia, è irraggiungibile per il 95enne Benedetto XVI. Sullo sfondo a sinistra, l’altare della messa antica, ricorda il Summorum Pontificum, il motu proprio con cui il papa, in vero, ha ripristinato la messa in latino. QUI 

Le mani di papa Ratzinger sono unite dal rosario, catena d’amore per Cristo e Maria, alla quale lui è legatissimo. Al collo, più grande e pesante di quanto si percepisca, la croce, d’oro; all’anulare, quello che non è l’anello piscatorio, (come hanno scritto) che fu graffiato e non spezzato, messo da parte, ma l’anello conciliare che riporta – realmente – San Pietro. QUI Il dettaglio più significativo, in primo piano, è l’acqua, simbolo di quella purificazione della Chiesa portata avanti da Ratzinger, sul quale si riflette lo stesso papa mentre suona il pianoforte. Sembra di sentire quella sua musica dove anche le pause sono espressive: “Dum tacet clamat”, commentò Mons. Gaenswein. QUI 

Incredibile come le intuizioni dell’artista, spontanee e pochissimo concordate, abbiano incontrato il pieno favore di papa Benedetto che ha commentato, con la sua voce da tempo sottilissima, che in pochi comprendono: “E’ perfetto: se l’artista l’ha voluto così, l’ha voluto il Signore”.

Insomma, finalmente un codice espressivo, un linguaggio che possono capire tutti, per una grande opera da donare alla Chiesa, destinata “a chi ha occhi per vedere” e che resterà nei secoli.

 (Per miglior comprensione del testo, fare riferimento ai link degli approfondimenti)