lo-riconoscete?-vi-ricorda-qualcuno?-e-fausto-russo-alesi,-lo-straordinario-cossiga-di-“esterno-notte”-e-uno-dei-sei-personaggi-in-cerca-d’autore-di-“la-stranezza”.-e-si-racconta-a-360-gradi

Con quella barba un po’ così sembra uscito direttamente dalle pagine di Dostoevskij (autore che peraltro ama, ha interpretato a teatro sia I demoni sia Ivan, da I fratelli Karamazov). «Mi muovo molto più a mio agio in abiti ottocenteschi che contemporanei» sorride Fausto Russo Alesi, che poi spiega: «È un look dettato da esigenze sceniche: sto finendo di girare La conversione, sul caso Mortara (Edgardo Mortara, il bambino ebreo battezzato all’insaputa dei genitori e rapito alla famiglia dalla Gendarmeria pontificia, nel 1858, ndr). È l’ottava volta che lavoro con Marco Bellocchio: iniziammo con Vincere, nel 2009. Un tassello importante è stato, nel 2019, Il traditore (era Giovanni Falcone, ndr)». Il vertice della collaborazione, però, è Esterno notte, la serie Rai sui 55 giorni del rapimento di Aldo Moro (ora disponibile su Raiplay) dove impersona magistralmente Francesco Cossiga.

Somiglianza interiore

«Con Bellocchio non c’è mai un lavoro imitativo: lui cerca una “somiglianza interiore” che passa per lo sguardo, la voce, l’attitudine o qualcosa che intuisce di te» spiega Russo Alesi.

E che cosa ha intuito di lei?

Penso che volesse un interprete disposto a immergersi – senza paura, senza giudizio – dentro quel “nero”. Bisognava restituire una personalità autorevole (Cossiga rappresenta lo Stato), ma con varie sfaccettature, pure completamente opposte. C’erano da suonare i diversi tasti, un viaggio immersivo nella complessità dell’essere umano.

Fausto Russo Alesi (Getty Images).

Capito: lei è un integralista del mestiere.

Cerco di mantenere le energie giuste per tutto, per il lavoro e per la famiglia (è sposato, ha una figlia che frequenta le medie e un bambino di sette anni, ndr). Comunque sì: mi piace che ogni ruolo sia un percorso di conoscenza vera, e mi piace affrontarlo con il corpo. Ho sempre praticato un teatro abbastanza estremo, nel senso di parecchio “fisico”, impegnativo: maratone di 5-6 ore (a volte 12, come con I demoni di Peter Stein), monologhi di due ore serratissimi… 

“Lo scopone scientifico”, un capolavoro

Una bella commedia no, eh?

Non vedo l’ora, perché la vita è tragicomica! Sto proprio aspettando un film estremamente divertente ma intelligente che faccia da specchio reale al pubblico (con i tic che ci definiscono, provocati da crepe, debolezze, inettitudini), nella tradizione meravigliosa della commedia all’italiana. Che capolavoro è – per citarne uno – Lo scopone scientifico? Nel frattempo coltivo un progetto per il palco, andrà in scena a febbraio.

Ce lo anticipa?

Un altro Eduardo De Filippo, dopo il Natale in casa Cupiello del 2012: L’arte della commedia, la storia di una compagnia itinerante di guitti che resta bloccata in un paesino, il palco è andato in fiamme… Un testo straordinario e poco rappresentato, importantissimo per questo nostro momento storico. 

Perché proprio per questo?

Ci parla dell’arte come necessità, come diritto essenziale sia per chi la “produce” sia per chi ne usufruisce, e di quanto il settore sia stato spesso (l’abbiamo visto durante la pandemia) dimenticato e poco riconosciuto. Come diceva Eduardo, non di sole fettuccine… 

Quando è nata in lei una passione così totalizzante?

Di sicuro ero un bambino estroverso (assai più di quanto lo sia adesso), dirompente, invadente – alle elementari la suora mi odiava – (ride): l’impulso d’andare in scena come questione vitale deriva da lì. Folgoranti sono state le prime due volte da spettatore. Un’occasione più mondana – al Teatro di Verdura di Palermo per un’operetta, Cincillà, in una calda serata siciliana con un’eleganza da prima della Scala (sembrava quasi d’essere nell’800) – e l’altra più “militante”, a 9 anni a Siracusa: tre tragedie in tre giorni. L’immersione fu potente.

“Mio padre & Visconti”

Fausto Russo Alesi in “Esterno notte”(foto Anna Camerlingo).

E fu allora che decise di studiare recitazione.

No, anche se avrei potuto, i corsi c’erano, ma giocavo a pallavolo a livello agonistico (benedico il gioco di squadra, mi ha insegnato tantissimo!). All’ultimo anno di superiori, si imponeva una scelta per il futuro. L’essere a 360 gradi dentro le cose è una caratteristica che mi appartiene e mi sono convinto: “Devo lasciare la mia più grande passione per avventurarmi dentro quella che sarà la mia più grande passione”.  

All’improvviso? C’erano forse precedenti artistici in famiglia.

Non esattamente. Papà alle superiori faceva teatro amatoriale e, quando venne Luchino Visconti in Sicilia per i sopralluoghi di Il Gattopardo, ebbe la possibilità di un provino a Roma. Mio nonno non lo mandò: quel “no” fu talmente forte che mollò. 

Marco Bellocchio: «Questo film è una resa dei conti»

Marco Bellocchio: «Questo film è una resa dei conti»

Un classico esempio della teoria junghiana secondo cui i genitori passano inconsciamente ai figli il testimone di quel che avrebbero voluto realizzare.

Però non mi ha mai fatto pressione, anzi: mi metteva quasi i bastoni fra le ruote per essere sicuro che non fosse un capriccio. I miei amici invece mi supportavano: per i 18 anni mi hanno regalato il libro Fare l’attore (ride), con le migliori sei scuole italiane di recitazione. Mi aiutò a individuare quella giusta per me: ero già ben consapevole che ci si deve formare, si deve studiare. Mi trasferii a Milano (un bel balzo, un frullatore) per frequentare la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. 

Fausto Russo Alesi in Russia

Fausto Russo Alesi in “La stranezza”.

E di lì l’approdo al Piccolo e a Luca Ronconi…

No, Ronconi dopo. Appena diplomato, nel 1996, con sei colleghi dell’accademia abbiamo fondato la compagnia Atir (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca, ndr), capitanata da Serena Sinigaglia. E lì è partito un ulteriore periodo di formazione, la nostra palestra è stata sul campo. Dopo sette anni intensi ho cominciato un percorso più personale, ma restando loro vicino: per me costruire, mantenere e fare evolvere le relazioni è parte fondante della professione.

Le tappe chiave successive?

L’Ecole des Maîtres, un master internazionale di alta formazione, pensato da Franco Quadri: a giovani attrici e attori professionisti europei viene offerta la possibilità di confrontarsi con i più importanti maestri della scena contemporanea. Lì incontrai Eimuntas Nekrošius (pluripremiato regista lituano, ndr) e nel 2002 partì il progetto di Il gabbiano, uno spettacolo talmente riuscito che girò per due anni (che emozione a San Pietroburgo!). Seguì la mia prima regia, nel 2005, e il decennio di lavoro intenso con Ronconi, l’attraversamento di grandi personaggi e grandi testi, dal Sogno di una notte di mezza estate a Santa Giovanna dei macelli di Brecht. Per arrivare infine a Bellocchio.

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Presto compirà 50 anni. Bilanci?

Bilancia, semmai, sono nato il 13 ottobre (ride). Essendo abbastanza autocritico, non aspetto le date per i bilanci. Di certo non rinuncerò a nuove sfide.

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