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“Pristina percepisce ancora Washington come sponda cruciale, ma gli Stati Uniti sono impegnanti su altri dossier e intendono favorire un maggiore attivismo di Bruxelles”, spiega Fruscione (Ispi). Suggerendo, poi, che l’Italia potrebbe guidare i Paesi che intendono spingere il processo di integrazione europea dei Balcani

Quando due giorni fa l’ambasciatore degli Stati Uniti, Jeff Hovenier, aveva convinto il premier kosovaro, Albin Kurti, a rinviare di 48 ore la comminazione di multe ai titolari di automobili “illegali” non ancora re-immatricolate con targa kosovara, si era creato uno spazio di manovra diplomatica per evitare una pericolosa escalation di violenza tra Serbia e Kosovo. Tempo prezioso che ha permesso di sfruttare la questione delle targhe, da sempre un pericolosissimo proxy di tensione, e aprire un corridoio di dialogo in un centro di frizione esplosivo.

Dopo otto ore di dialogo fallito martedì, l’Alto rappresentante Ue Josep Borrel ha scritto su Twitter alle 10:25 di ieri sera, mercoledì 23 novembre: “Abbiamo un accordo! Sono molto lieto di annunciare che i capi negoziatori di Kosovo e Serbia sotto la facilitazione dell’Unione europea hanno concordato misure per evitare un’ulteriore escalation e concentrarsi completamente sulla proposta sulla normalizzazione delle loro relazioni”. Parole simili sono arrivate da Washington.

La situazione resta complessa, perché interessi interni ai due Paesi sono alla radice delle tensioni attuali, evidenzia con Formiche.net Giorgio Fruscione, che si occupa di analisi e ricerca sui Balcani per l’Ispi. “Il presidente serbo, Alexander Vucîc, e il premier Kurti sono interessati a mere ragioni di politica interna, più che a questioni di politica regionale”.

“Le tensioni con Pristina permettono per esempio a Vucic di ergersi a difensore dell’interesse nazionale, e se la crisi diventa una sorta di status quo, un’emergenza premente, allora il ruolo di difensore di quell’interesse dei serbi può essere rivendicato come un valore in termini di consenso. Dall’altra parte abbiamo un governo che cerca di affermarsi sia sul palcoscenico internazionale sia sul piano dell’affidabilità interna: le minacce che arrivano dalla Serbia permettono a Kurti di ergersi a  sua volta a protettore della sovranità del Kosovo, e questo passa per l’esercizio tutt’altro che scontato del controllo dei confini e del proprio territorio, come la vicenda delle targhe”.

Se questioni di convenienza politica sono quelle che muovono i due diretti interessati di questa vicenda, esistono anche forme di destabilizzazione dall’esterno nei Balcani? “Nonostante quello che si è portati a pensare, non c’è un ruolo diretto di attori come la Russia nel destabilizzare i Balcani e il dossier serbo-kosovaro: intendo non in modo militare o politico attivo, ma questo non significa che Mosca non impieghi strumenti di soft power, che comunque vanno avanti da anni e si muovono nella cornice di un’alleanza decennale con la Serbia”, risponde Fruscione.

La Russia sta cercando di trarre un vantaggio in modo indiretto dalle dinamiche che si stanno muovendo: se il dossier kosovaro si destabilizza, allora per Mosca si creano spazi d’interesse. In generale, più rallentano i processi di avvicinamento di quei Paesi al mondo occidentale (Ue o Nato), più per i russi si aprono spazi per sfruttare in vario modo la situazione. Dunque quanto accade somma questioni interne a dinamiche esterne. Val la pena ricordare che queste sensibilità avvengono all’interno di una sfera di influenza e proiezione dell’Italia, che in effetti sta dimostrando nuove attenzioni su questi dossier.

I ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, sono volati nei giorni scorsi a Belgrado e a Pristina per interloquire con i partner balcanici. Con quasi 800 militari, l’Italia è alla guida della missione Kfor della Nato per l’ordine e la pace in Kosovo. Questa mattina ci sono stati colloqui telefonici del ministro Tajani con Vučić e con il premier Kurti.  “Si tratta del primo risultato concreto della missione che ho svolto martedì scorso con il Ministro Crosetto nei due Paesi per favorire un processo di pace in un momento di grande tensione” ha commentato il titolare della Farnesina a proposito dell’accordo raggiunto, aggiungendo che “è ora necessario proseguire sulla strada del dialogo e della piena normalizzazione delle relazioni tra quei Paesi. Il futuro dei Balcani è in Europa e l’Italia è pronta a svolgere un ruolo da protagonista nella regione”.

Che ruolo ha l’Italia? “Nei Balcani l’Italia ha un ruolo da molti anni su un doppio livello. Da una parte sul campo, con il contingente italiano nella missione Kfor che oltre a essere stato il più consistente è anche quello più apprezzato dalla popolazione locale. Un altro livello riguarda la diplomazia internazionale, dove l’Italia ha un ruolo da sponsor primario dell’integrazione balcanica nell’Unione europea; ruolo che con la recente visita dei ministri è stato rinnovato, anche con l’annuncio della conferenza internazionale che l’Italia intende organizzare per darsi una maggiore centralità in quel suo vicinato”, risponde l’esperto dell’Ispi.

Questa attività di mediazione italiana, alla guida di un blocco di Paesi che è uscita dalle titubanze sull’integrazione dei Balcani nell’Ue, è un elemento di interesse continentale in uno dei vari dossier geopolitici aperti che riguardano il Mediterraneo allargato. Un processo che da rinvigorire, perché da parte dei kossovari sta scemando la fiducia che nei confronti dell’Unione europea, in parte perché Borrell e il suo inviato speciale Miroslav Lajčák provengono da Paesi che non riconoscono l’indipendenza del Paese (rispettivamente Spagna e Slovacchia).

Su certe indecisioni va recuperata rilevanza. “Pistrina percepisce ancora Washington come sponda cruciale, ma gli Stati Uniti sono impegnanti su altri dossier e intendono favorire un maggiore attivismo di Bruxelles”, spiega Fruscione.