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A volte un calendario racconta di per sé una storia. È il caso delle presidenze di turno in Unione europea. Il nuovo anno comincia sotto la guida svedese, e l’Europa si proietta verso le elezioni europee con un governo che rappresenta il sovranismo di nuova generazione.

Nel voto europeo del 2019, lo schema europeisti contro sovranisti reggeva ancora; oggi questa divaricazione è del tutto collassata. Il centrodestra, pur di non morire elettoralmente, ha già fatto il patto con la destra estrema. Questa nuova configurazione vale a Stoccolma come a Bruxelles.

Non è un fatto da poco, quindi, che il 2023 cominci con la presidenza di turno svedese, che incarna l’alleanza tra le destre: questo è un anno chiave, per un’Europa che sta affrontando sfide e crisi multiple, e che si prepara al voto del 2024.

La guida della Svezia degraderà poi – dopo i semestri spagnolo e belga – verso le presidenze di Ungheria e Polonia, tra il 2024 e il 2025. Più che un calendario, questa è una grande metafora della direzione che sta prendendo l’Europa.

Una Svezia disinibita

L’attuale premier svedese Ulf Kristersson – occhialetti, ottimo inglese, modi mai sopra le righe – ha deciso di non farsi più scrupoli. Ne aveva ancora, nella tornata elettorale del 2018; anche all’epoca, da leader dei moderati era candidato alla guida del paese. Ma si era tenuto a distanza da Sverigedemokraterna, i Democratici svedesi, per le radici neonaziste di questa formazione.

Poi, già l’anno successivo, i moderati hanno cambiato strategia: Kristersson ha cominciato a lavorare a un accordo con l’estrema destra. Con questo nuovo schema, senza più argini né inibizioni verso la destra estrema, nel 2022 Kristersson ha conquistato la premiership alla quale ambiva da tempo. E Sverigedemokraterna a sua volta ha acquisito influenza.

L’estrema destra svedese, guidata da Jimmie Åkesson, fa parte della stessa famiglia europea di Giorgia Meloni, di cui è alleata. La dinamica politica, a Stoccolma come in Europa, è analoga: oggi in Svezia il partito dei moderati, che è membro del Ppe, ha un’alleanza tattica con Sverigedemokraterna, che è nell’Ecr. In Ue, alle elezioni di metà mandato dell’Europarlamento, Manfred Weber che è il leader del Ppe ha consolidato l’alleanza tattica con l’Ecr di Meloni. Non è più l’èra dei pudori, dei séparé e dei cordoni verso le destre estreme: le destre sono coalizzate.

Chi proviene dal centro porta in dote la compatibilità con l’establishment e svolge un ruolo normalizzatore; a sua volta, chi una volta era bollato come il pericoloso sovranista ora penetra la dimensione mainstream della politica coi tormentoni anti-integrazione e anti-migranti. In questo scambio l’integrazione europea ha più da perdere che da guadagnare.

Influenza estrema

Formalmente, il patto di governo in Svezia prevede che dentro ci siano moderati, cristianodemocratici e liberali, mentre i “democratici svedesi” sono «il partito partner fuori dal governo». Ma visto che si tratta di un partito che ha incassato il venti per cento dei voti, la sua capacità di influenza sarà notevole; e avrà effetti anche sulla presidenza di turno in Ue. L’accordo di governo (il “Tidöavtalet”) prescrive espressamente che «nelle questioni relative all’Ue, il partner esterno del governo debba essere informato dei contenuti dei memorandum preparatori».

C’è da essere certi che l’estrema destra condizionerà fortemente i dossier migratori: la retorica anti-migranti è un leitmotiv e ha già permeato il patto fondativo del nuovo esecutivo. Che intende «cambiare il paradigma» in fatto di accoglienza: sorveglianza e uso dei dati biometrici sugli stranieri, più rimpatri, espulsioni per cattiva condotta.

Insomma, il linguaggio della destra estrema che diventa priorità di governo. Questa attitudine condizionerà anche il semestre Ue, visto che la presidenza svedese ha tra le priorità quella di «sbloccare e far procedere i negoziati sul nuovo patto di migrazione e asilo». Se già la bozza della Commissione spingeva più sui rimpatri che sull’accoglienza, con Stoccolma alla guida la fusione tra retorica sovranista e scelte di governo sarà matura; Meloni e Salvini troveranno sponde per le loro iniziative anti-ong.

Ma ci sono anche punti meno scontati, che possono condizionare la direzione assunta dall’Unione. Gli allegati all’accordo di governo svedese, che non sono stati pubblicati ma sono filtrati, mostrano ad esempio l’intenzione di Sverigedemokraterna di controllare – per compromettere al ribasso – alcuni dossier importanti per il clima e la biodiversità. È una deriva grave, se si pensa che la Svezia è «un paese all’avanguardia nella transizione green», come l’ha definito Roberta Metsola.

Presidenze e aspettative

La presidenza di turno coordina i lavori del Consiglio dell’Ue per un semestre. A inizio 2022, quella francese è stata la “presidenza sponsorizzata” per eccellenza, e ha proiettato gli interessi delle lobby nel cuore della politica europea. La Conferenza sul futuro dell’Europa, nata come sfoggio di europeismo dell’Eliseo, si è sgonfiata come un soufflé preparato contro voglia.

La presidenza ceca ha sudato sette camicie – anzi, sette felpe – per la questione dei prezzi dell’energia: il ministro Jozef Síkela ha chiuso il semestre indossando una felpa con il suo slogan, «Convocheremo tutti i Consigli Ue dell’Energia che saranno necessari», e può dire di aver chiuso un accordo sul tetto ai prezzi del gas. Ma con quanti compromessi e quanto ritardo?

Ora tocca a Kristersson e alla ministra per gli Affari europei Jessika Roswall. In cima alle priorità, c’è un tema che unisce agilmente il Ppe e i conservatori, e cioè il supporto a Kiev e la durezza verso Mosca. «Speriamo che la Svezia entri nella Nato il prima possibile. Aiuteremo l’Ucraina con ogni mezzo – militare, economico, politico – perché gli ucraini stanno lottando anche per la nostra libertà. Manterremo la pressione, e le sanzioni, contro Mosca»: queste sono le dichiarazioni d’intenti della ministra Roswall, convinta che «su questo si debba restare uniti».

Barattare mercato e diritti

Il quadro di insieme della presidenza svedese che verrà è il seguente: massima libertà per le imprese, minimo investimento sull’integrazione politica europea, linea aggressiva su migranti e diritti. Tutti e tre questi punti descrivono anche bene in che modo possano tenersi insieme il centro-destra (Ppe) e le destre estreme (Ecr) nell’era del “sovranismo 2.0”.

Il primo punto – cioè l’idea che le imprese debbano essere il più possibile libere da briglie – è la cifra del premier svedese, ma ricorda anche il motto di Meloni: «Non disturbare chi vuole fare». Rivolgendosi a BusinessEurope, che è la confindustria europea, Jessika Roswall ha parlato del «fardello delle regole» che «va ridotto il più possibile: il commercio dev’essere il più libero e aperto possibile; a tal fine metteremo il tema della competitività in agenda a marzo».

Di pari passo, Stoccolma porta avanti un’idea a dir poco light dell’integrazione politica europea. Se mai c’è stato un momentum per riformare i trattati – dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa, quando il Parlamento Ue ha chiesto una convenzione – la Svezia ha frenato ogni zelo. Era tra i paesi firmatari del non paper contro la convenzione, a maggio; e ora, con il nuovo governo insediato, andrà se possibile anche peggio. Infatti il massimo dell’ambizione che la nuova presidenza si concede nel suo programma è «discutere se ricorrere più di frequente ai voti a maggioranza qualificata in politica estera e di sicurezza».

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