
di Marco Caruccio e Davide Fogato
Ciascuno ha la propria storia, figlia di percorsi diversi accomunati spesso da salti nel vuoto. Scommesse che, per fortuna, spesso vengono vinte anche grazie al supporto degli enti di settore.
Si inizia con un corso di fashion design cui seguono tirocini negli uffici stile, esperienze in aziende o atelier; tutto concorre a comprendere i passaggi necessari per dare vita ai propri progetti e firmare la prima collezione col proprio nome (o quasi). Gli iter formativi dei giovani stilisti italiani sono diversi, ad accomunarli c’è una passione che, nonostante le immancabili difficoltà degli esordi, sembra avere la meglio. Abbiamo chiesto a quattro esponenti della new wave milanese da dove sono partiti e come sono arrivati ad occupare il fatidico “slot” all’interno del calendario della fashion week che, fino a pochi anni fa, sembrava dominata esclusivamente dai big brand ma che ora è sempre più ricca di talenti da scoprire.
MARCO RAMBALDI
Laureatosi nel 2013 allo Iuav di Venezia, dopo una serie di tirocini nel 2014 Marco Rambaldi vince il concorso Next Generation di Cnmi. A seguito, anche, di una serie d’incontri con “addetti ai lavori” – tra cui Sara Sozzani Maino, creative talent curator – presenta una seconda capsule ad Altaroma. Poco dopo si ritrova ad un bivio: continuare a seguire il progetto del brand oppure decidere di fare un’esperienza lavorativa più formativa. “Ho congelato il progetto del marchio e ho iniziato a lavorare da Dolce & Gabbana nell’ufficio stile donna, per poi rimanerci tre anni occupandomi prima dei ricami e diventando successivamente responsabile della maglieria”. Nel 2017 riprende in mano il progetto del brand: “Riunendomi con Giulia Geromel e Filippo Giuliani (ex compagni dello Iuav), stagione dopo stagione ci siamo sempre di più strutturarti, ampliati – nonostante continuiamo ad essere una piccola realtà indipendente con sede a Bologna. Inizialmente abbiamo avuto un produttore per un paio di stagioni, ma a seguito di due visioni diverse siamo poi subito tornati indipendenti. Oggi produciamo solo nel centro-nord Italia, abbiamo laboratori tra Fano e Lodi, e i fornitori sono tutti italiani”. La maggiore difficoltà in un progetto indipendente però, rimane sempre quella finanziaria: “Da fuori probabilmente non ci si rende effettivamente conto di quanti possono essere i costi vivi delle collezioni, dei campionari e delle produzioni”. Nel 2022 il marchio, presente all’interno del calendario di Milano Moda Donna e distribuito in circa 45 negozi, ha registrato un fatturato di circa 750 mila euro con una crescita del 400% sul 2021 e con il 40% delle vendite in Italia e il 60% all’estero. A rendere tangibile il successo del progetto ci sono stati, tra i tanti, due momenti particolari: “La conferma dei passi avanti è arrivata da due parti. Dal Financial Times, quando ci ha considerato come uno tra i brand della new wave italiana, e poi da Pierpaolo Piccioli (direttore creativo di Valentino, ndr), quando assieme al suo team ci ha scelto come brand da supportare per la sfilata autunno/inverno 2022-23 tramite il canale Instagram di Valentino. Questo per via di un’unione di valori e messaggi, anche ‘politici’, che secondo Pierpaolo ci accumunavano”. Il futuro? “Per adesso lavoriamo continuamente sulle collezioni e sulle capsule, grazie anche all’aiuto dello showroom 247 e di Reference Studios per lo sviluppo sul mercato internazionale”.
MAGLIANO
Nato a Bologna nel 1987, Luca Magliano, fonda il suo marchio nel 2017, “in un momento della mia carriera personale dove avevo già un’esperienza lavorativa di sei anni alle spalle, nessuna occupazione, ma una forte determinazione e un gran bisogno di lavorare su ‘argomenti di moda’”. Con una proposta di capi che vanno ad indagare il guardaroba maschile ma che “fin da subito sono stati acquistati sia da uomini che da donne”, il debutto in passerella di Magliano arriva invece un anno dopo, nel 2018, a Pitti Uomo, tramite un esperimento di tutoring patrocinato da Cnmi. “All’inizio sono partito dalla creatività e dalla produzione: dalle prime stagioni ho trovato un ‘accordo di stima’ con l’azienda che tuttora mi produce, Arcari – realtà di Faenza dove ho lavorato per molto tempo -, e io e l’azienda siamo stati tutelati da Cnmi”. Portare avanti questo progetto ha comportato una serie di sacrifici: “Nei primi anni, i ricavi non erano abbastanza per continuare ed io facevo anche consulenze per sostenere il brand. Lavori che in realtà ho smesso di fare da neanche un anno”. Da solo però, Magliano, non è mai stato: “C’è sempre stata una squadra dietro di me, anche se poi con il tempo è cambiata, perché era difficile reggere l’altissima tensione e i piccoli risultati da dividere”. Mentre è dello scorso dicembre la notizia dell’inizio di una partnership commerciale e finanziaria con Underscore District (ex Impossible Brands). “L’incontro è avvenuto da un loro interessamento. Non era la prima volta che qualcuno si faceva avanti per valutare un’operazione commerciale ma con loro c’è stata una grandissima apertura e anche coraggio”. Nel 2022, il marchio, grazie ad una distribuzione in 60 punti vendita in tutto il mondo, ha registrato ricavi pari a 2,5 milioni di euro, in crescita del 100% rispetto al 2021, con vendite per il 75% all’estero e il 25% in Italia. “Ora abbiamo consapevolezza che stiamo facendo un percorso nella giusta direzione. Sappiamo che c’è un vuoto, una necessità non soddisfatta, un modo di parlare di made in Italy, che noi con il nostro lavoro possiamo colmare. Anche se certo, da qui a dire ‘Sarà un successo!’ è troppo presto. Siamo ancora un ‘work i progress’, ma siamo diventati più grandi e siamo un’azienda a tutti gli effetti. Siamo la Magliano srl e questo mi rende orgoglioso”.

FEDERICO CINA
Federico Cina si iscrive al Polimoda di Firenze a 19 anni ed inizia parallelamente a fare esperienza nei maglifici pratesi. Affiancando uno stilista del team creativo di Brooks Brothers, fa la spola tra la Toscana e New York fino alla partenza per il Bunka Fashion College di Osaka, grazie a una borsa di studio di sei mesi. Al rientro inizia uno stage curriculare da Emilio Pucci a Milano, poi sente il bisogno di riavvicinarsi al proprio territorio e svolge alcune consulenze per Abraham Industries, gruppo di cui fanno parte Erika Cavallini e Liviana Conti. L’esordio con il proprio brand omonimo avviene nel 2019 ad Altaroma, con la collezione ‘Romagna mia’. “Le prime sfilate sono state utili per farmi conoscere, finanziandomi sempre in maniera autonoma grazie a consulenze e accordi con la banca. In realtà i primi ordini sono arrivati solo a partire dal gennaio 2021”. Nel luglio 2019 ha vinto Who’s on Next?, progetto di scouting di Altaroma e Vogue Italia in collaborazione con la Cnmi e Pitti Immagine: “È stata la svolta, grazie a quella vincita Cnmi mi ha supportato molto. A gennaio 2020 ho sfilato a Roma e a settembre avrei dovuto esordire a Milano ma, causa Covid, sono stato inserito nella piattaforma di Cnmi. Con la vincita di Who’s on Next? ho ricevuto, oltre all’utilizzo gratuito della location, anche un supporto economico per la prima sfilata. Adesso l’ente mi aiuta con streaming video, per le ultime due stagioni ho finanziato personalmente le location”. Lo stilista si è affidato prima a Aretè Showroom mentre ora è rappresentato da Riccardo Grassi Showroom. “Inizialmente ho ricevuto appena due ordini e per produrre ho richiesto un altro mutuo. Ovviamente continuo con le consulenze, inizialmente più semplici ma adesso più importanti”. Le collezioni di Federico Cina, prodotte tra l’Emilia Romagna e le Marche, sono presenti in 30 boutique anche in Giappone, Cina e America. Il fatturato 2022 è stato di 300mila euro, in crescita del 300 per cento. La label è presente all’interno del calendario sfilate di Milano Moda Uomo e partendo dalla maglieria si è ampliata fino ad un total look.“Si fa fatica ad emergere perché è difficile guadagnarsi la fiducia dei buyer, siamo giovani senza un’azienda alle spalle, il buyer è titubante perché ha paura che il brand non consegni nei tempi prestabiliti. Adesso inoltre viviamo un momento in cui Farfetch detta le regole, molti store non acquistano se non sei all’interno di Farfetch, che per i negozi è una garanzia ma non è chiaro come entrarci”.
DES PHEMMES
Classe 1989, nato in Germania ma di origini siciliane, Salvo Rizza apre il suo brand nell’aprile 2019, presentando la prima collezione a marzo 2020 con un “timing perfetto” – in riferimento alla pandemia. Come nasce l’idea? “Ho sempre lavorato per altri marchi, la mia esperienza più grossa è stata da Giambattista Valli, dove sono passato da stagista a coordinatore di tutte le linee. Dopo ho fatto invece diverse consulenze, rendendomi però conto che raccontavo sempre le storie degli altri e che sentivo il bisogno di dire quello che pensavo io”. Bisogno che viene ascoltato grazie all’incontro con il suo attuale produttore e licenziatario torinese Rgs Diffusion. “Un incontro che ha fatto partire il progetto e mi ha dato modo di raccontare il mio trascorso e la storia delle donne che mi circondano”. L’esordio però è stato turbolento: “La prima collezione l’ho letteralmente appesa in showroom a Milano per 48 ore e quasi nessuno l’ha vista”. La seconda, Rizza l’ha presentata a Who’s on Next?, ma comunque andava a rilento. “Il grande salto è avvenuto invece a luglio di quell’anno, quando ho avuto la fortuna di vestire Chiara Ferragni e Dua Lipa”. Due celebrity che hanno ribaltato i numeri: “Se a marzo con la collezione autunno/inverno 2021 avevo venduto 130 capi, con la primavera/estate 2022 ne abbiamo venduti 4mila. Molto del sostegno che ho oggi è arrivato proprio da parte dei talent, dal fatto che alcune celebrity mi abbiano scritto o io abbia inviato loro dei gift che poi hanno indossato”. Nel 2022, la griffe, presente in circa 110 punti vendita, ha raggiunto i due milioni di euro di fatturato con una crescita del circa 30% da stagione a stagione, in cui l’Italia rappresenta il 40% e l’America il 60. “Stiamo aggiungendo uno showroom a New York e progettando un’apertura anche verso la Cina. Inoltre, stiamo allargando l’offerta il più possibile, potenziando molto il ready-to-wear e tutte le categorie merceologiche. Per le prossime stagioni, l’idea è quella di consolidare l’abbigliamento e pian piano allargarsi verso l’accessorio, che al momento non abbiamo”.