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La Russia ha annunciato che non venderà il proprio petrolio e i suoi derivati ai paesi che a inizio dicembre avevano trovato un accordo per imporre un tetto al prezzo del petrolio prodotto in Russia. Il provvedimento riguarderà pertanto i membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), l’Unione Europea e l’Australia, che con l’accordo entrato in vigore lo scorso 5 dicembre avevano stabilito di non acquistare petrolio russo a più di 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato dovesse essere più alto (attualmente è attorno agli 80 dollari al barile).

Un qualche tipo di reazione da parte della Russia rispetto all’imposizione del cosiddetto price cap era molto attesa: è a sua volta una risposta alle misure introdotte negli ultimi mesi da vari paesi occidentali per aumentare la pressione sul governo del presidente Vladimir Putin a causa dell’invasione dell’Ucraina.

Il divieto di vendere petrolio ai paesi che stanno applicando il price cap è contenuto in un decreto presidenziale firmato da Putin martedì. Il decreto stabilisce che il petrolio russo e i suoi derivati non potranno essere più venduti né ai paesi né alle singole società che hanno stabilito un tetto al suo prezzo. Il divieto entrerà in vigore il prossimo primo febbraio e durerà cinque mesi. Il decreto prevede tuttavia che Putin possa concedere un «permesso speciale» per la fornitura di petrolio a paesi che rientrano nel divieto.

La Russia è il secondo produttore di petrolio al mondo e la sua economia si basa in gran parte sulla vendita di petrolio e gas ad altri paesi. Oltre a creare ulteriore pressione sul paese, l’obiettivo del tetto al prezzo del petrolio russo era anche quello di provare a far stabilizzare i prezzi, che proprio a causa della guerra in Ucraina negli ultimi mesi sono molto aumentati.

Con l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio da parte di alcuni dei suoi maggiori acquirenti, la Russia era costretta ad accettare di guadagnare meno di quello che il mercato le avrebbe consentito o a rinunciare del tutto a queste entrate, cercando altri acquirenti oppure accumulando scorte, con il rischio però di gravi conseguenze sulla sua economia. Martedì il ministro dell’Economia russo Anton Siluanov ha detto che con il calo delle entrate legate alle esportazioni di petrolio il deficit di bilancio del paese potrebbe essere ancora più ampio rispetto a quello previsto per il 2023. Secondo alcuni analisti comunque il tetto al prezzo del petrolio avrà un impatto limitato sulla situazione delle entrate russe legate alle esportazioni di petrolio nel breve periodo.

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