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La lobby nera era una bufala ve lavevamo detto

Proprio ieri il ministro Carlo Nordio alla Commissione Giustizia del Senato aveva denunciato la “porcheria” (testuale) dell’uso strumentale delle intercettazioni telefoniche con un esempio che un po’ tutti conosciamo bene, cioè le intercettazioni via trojan “selezionate e diffuse secondo gli interessi di chi le diffonde”. Ecco, è notizia sempre di ieri che quella famosa inchiesta sulla cosiddetta lobby nera con cui Fanpage aveva inguaiato, a ridosso delle elezioni milanesi del 2021, l’eurodeputato di FdI Carlo Fidanza, la consigliera comunale di FdI Chiara Valcepina e Roberto Jonghi Lavarini, non s’ha da fare: dopo oltre un anno di indagini, la procura di Milano è pronta a chiedere l’archiviazione. Non c’è reato. La lobby nera era una bufala, intanto però qualcuno ha pagato un prezzo molto alto per un reato per cui non è neppure mai partita l’inchiesta: Fidanza si era dimesso e chissà, se non fosse accaduto tutto questo oggi sarebbe ministro e Chiara Valcepina si era dovuta difendere da un’accusa che poi niente, avevamo scherzato. E intanto la stampa di sinistra li ha linciati, quella stessa che oggi sul Qatargate (ma anche Maroccogate) fa la verginella. Chi paga per gli schizzi di fango che hanno colpito persone che non avevano fatto assolutamente niente?

Noi ve l’avevamo annunciato nella copertina di CulturaIdentità di novembre 2021: c’è da sempre un momento in cui una manina, o manona, aziona il ventilatore per mascariare con schizzi di fango l’avversario politico, che non è mai di sinistra. Il meccanismo si mette in moto con i pretesti i più varii, dalla manfrina del fascismo immaginario al presidio democratico in assenza di fascismo fino alla famosa questione morale, che ora però colpisce quei puri che prima volevano fare epuraratori.

Per l’occasione vi propiniamo il pezzo che Francesco Borgonovo ha scritto per noi, pubblicato sul numero di novembre 2021 di CulturaIdentità (Redazione)

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Penso che bisognerebbe scrivere un piccolo saggio intitolato “L’antifascismo eterno”, al fine di indagare una patologia che da troppo tempo affligge la nostra nazione. No, lo spauracchio fascista è sempre lì, a portata di mano, buono per essere ripescato alla bisogna. Funziona così da anni: ogni volta che bisogna svilire e demonizzare qualcuno, lo si accusa di rimpiangere il Duce o di volerlo imitare. È accaduto a Bettino Craxi, quindi a Silvio Berlusconi, poi a Matteo Salvini, ora a Giorgia Meloni. La psicosi fascismo è come il covid: dobbiamo imparare a conviverci. C’è un solo modo per uscirne: rendersi conto che non la smetteranno mai, e non cedere di un millimetro. Non bisogna prendere le distanze, scusarsi, giustificarsi. Non bisogna nemmeno perdere tempo a spiegare. L’inquisizione ha già emesso il verdetto, provare a discolparsi non serve. Bisogna, invece, mettere in discussione il tribunale dei sedicenti migliori, degli arroganti che non la finiscono mai di spargere infamia. Si scusino loro, i geni di sinistra, della loro ideologia mortifera. La stessa che ha prodotto casi come Bibbiano, che impone il gender nelle scuole, che alimenta il sistema micidiale dell’immigrazione di massa. Si scusino per le balle raccontate sull’emergenza covid, e per i morti che i loro errori hanno procurato. Si scusino per i ravioli cinesi consumati in tv e per gli aperitivi. Si scusino per come hanno criminalizzato l’amor patrio, il rispetto della tradizione e l’orgoglio identitario. Si scusino per il continuo svilimento della democrazia che operano da decenni. L’attuale antifascismo è una patologia psichiatrica. Chi ne soffre non va assecondato: va, semmai, aiutato a guarire. Qualcuno dice che l’allarme fascismo finirà quando la tornata elettorale sarà dietro le spalle. Non ne sono del tutto convinto.