inchiesta-covid,-galli-a-inews24:-“l’attenzione-si-e-spostata-sullo-scontro-politico-invece-che-sui-problemi-della-sanita”
Massimo Galli - Foto di Ansa Foto
Massimo Galli – Foto di Ansa Foto

Massimo Galli è uno degli esperti nominati consulenti dalla difesa del Pio Albergo Trivulzio, la più importante rsa della Lombardia, nell’ambito del procedimento sui casi Covid nel primo periodo del 2020.

I periti nominati dal giudice e i consulenti scelti dalle parti dovranno svolgere nuovi accertamenti e avranno altri sei mesi per analizzare tutta la documentazione. I giudici ora vogliono prendere in esame tutto il primo anno e non solo i primi sei mesi della pandemia.

Professore, com’era la situazione in quel periodo al Pat?
Mi è stato chiesto un parere e mi sono stati forniti dei dati. In quei giorni la situazione era di assoluta emergenza nelle rsa di tutto il mondo, ma in particolare in quelle della Lombardia, che sono state colpite prima di tutte le altre nel mondo occidentale. Non avevano la possibilità di fare quasi nulla: questo è l’aspetto più drammatico della vicenda”;

Uno dei punti da chiarire è il numero dei positivi nella struttura…
“Non c’era la possibilità materiale di intervenire su una serie di aspetti fondamentali. In primo luogo non si potevano fare i tamponi diagnostici. Le persone morivano verosimilmente di Covid in quella struttura come nelle altre, perché l’infezione era penetrata dall’esterno”;

Quindi potrebbero esserci stati controlli grossolani?
Qualcuno potrebbe pensare che si sia trattato di un errore grossolano, non contemplando tutte le dovute attenzioni nei confronti dei parenti. Ma non è così. Quando in quell’rsa si è manifestato un aumento di mortalità anomali rispetto agli anni precedenti, era tutto già chiuso, quindi non c’era possibilità di avere accessi da parte dei parenti. Gli unici accessi erano quelli del personale, che non poteva non entrare perché le persone dovevano essere assistite”;

Com’era la situazione nel periodo di cui parla?
È altamente verosimile che entro il 16 marzo a Milano ci fosse già un numero importante di casi, molti dei quali asintomatici. Posso dirlo con ragionevole certezza perché c’è un lavoro pubblicato, a cui abbiamo partecipato col mio gruppo di ricerca e che riguarda i donatori del Policlinico di Milano. Questo studio dimostra che a Milano già il 16 marzo c’erano un bel po’ di infezioni, a maggioranza asintomatiche. Grossolanamente, il 4% di quei donatori erano già stati infettati e senza sintomi rilevati. Di fronte a una realtà di questo genere, mi sembra evidente che ci sia dovuti barcamenare, non solo al Trivulzio, in una situazione in cui non c’era niente che aiutasse in maniera significativa a identificare le infezioni”;

Un altro aspetto su cui far luce sono le misure di sicurezza…
Ricordo che in quel periodo non c’erano terapie significative. Stavamo in ospedale tentando di sperimentare. Ma il Trivulzio non è un ospedale in senso stretto. Non c’era la possibilità di ricoverare in ospedale le persone che avevano già una sede in un contesto in cui poteva essere garantita un’assistenza perlomeno di base, se non eccezionalmente. Sulla base del solo screening legato alla sintomatologia presentata, si poteva perdere circa il 50% degli effettivamente infettati anche tra gli anziani. Ci sono lavori scientifici che lo dimostrano: su 100 anziani positivi al tampone molecolare, la metà è sintomatica, l’altra no. Per cui anche i tentativi all’interno di isolare le persone potevano essere basate sul fatto che un paziente avesse la tosse o no. Negli anziani, come in chiunque, non era certo che chi avesse la tosse fosse per Covid o per altre cause”;

Perché?
“La difficoltà era enorme e l’indisponibilità dei test diagnostici per la struttura è rimasta tale fino al 17 aprile, nonostante ripetute richieste e solleciti e nonostante avessero tentato di averli ovunque. Allo stesso modo, la possibilità di trasferire le persone era assolutamente non attuabile. Avevamo addirittura la disposizione di non chiedere trasferimenti. Capisco e mi immedesimo nella frustrazione delle persone che hanno perso i propri cari in quel periodo, però con tutta franchezza non c’era la possibilità materiale di mettere in atto altri interventi rispetto a quelli posti in atto, per quanto mi è dato di conoscere, al Trivulzio non c’è”;

Sulla base di quello che dice pare che sia stato fatto il possibile…
Avrei potuto tranquillamente starne fuori perché sarebbe stato più popolare. Questa storia del Trivulzio mi ha convinto che, per quello che ho visto, non si possa parlare di epidemia colposa. Inoltre il direttore generale non è un medico, quindi l’eventuale discussione su quello che si sarebbe potuto fare non è imputabile a un direttore generale. In maniera oggettiva, degli atti medici sono responsabili i medici. E si sta parlando di un periodo in cui non avevamo assolutamente idea di cosa fare nemmeno in ospedali di alta qualificazione: non avevamo niente in mano”;

Lei è anche uno dei tecnici sentiti nell’ambito dell’iter per la formazione della Commissione parlamentare di inchiesta Covid. Nei giorni scorsi inoltre, sono state chiuse le indagini sui primi mesi della pandemia nel Bargamasco. Secondo lei, c’è qualcosa che poteva essere fatto e non è stato fatto in quel periodo?
La mia preoccupazione molto forte è che ci si voglia dimenticare anche troppo facilmente delle carenze dimostrate dal sistema sanitario e che ci voglia occupare di un gioco al massacro tra componenti politiche diverse, per cercare chi ha fatto peggio in una situazione di quel genere. E dico “chi ha fatto peggio” perché è difficile fare una classifica di chi ha fatto meglio: dal mio punto di vista ci sono state inadeguatezze di ogni ordine e grado. Sono disposto ad ammettere che siamo stati davanti a una situazione senza precedenti: qualcosa di lontanamente simile a quel disastro potrebbe essere la spagnola, ma non è paragonabile. Il nostro sistema sanitario territoriale era completamente inadeguato a fronteggiare una realtà di questo genere. Non ce la faceva, ha dimostrato di non essere capace di vincere nemmeno una situazione dieci volte inferiore a quella del Covid”;

Uno dei punti discussi è stata l’assenza di un piano pandemico aggiornato…
Il piano pandemico era misurato sull’influenza, che è una storia molto diverso. Si parla di una malattia che si presenta diversamente al Covid. Disporre di un piano pandemico sarebbe stato utile. Ma ho più di qualche dubbio sulla capacità di farlo funzionare. Per far funzionare un piano pandemico anche contro l’influenza, bisogna avere un’organizzazione territoriale molto più efficiente di quella messa in campo in quella fase. Dopodiché c’è anche un altro aspetto: si attendeva il piano pandemico dell’Oms per adeguare quello dei singoli Paesi. Non voglio innescare uno scaricabarile, ma il processo era stato complessivamente ritardato. Avremmo potuto fare una serie di cose che non sono state fatte”;

Ad esempio?
A partire dal fatto che non sarebbe stato il caso di disinvestire pesantemente in sanità con tutti i tagli degli anni precedenti e soprattutto sarebbe stato il caso di prestare più attenzione all’organizzazione degli interventi sui territori. Avremmo anche dovuto avere un sistema vaccinale più efficiente e articolato di quello che abbiamo tuttora e che non era migliore quando ci siamo trovati a doverlo gestire quando sono arrivati i vaccini. Spero che tutto questo non si dimentichi. Come ho detto, ho l’impressione che l’attenzione si sia spostata sul piano dello scontro politico, piuttosto che sull’attenzione ai veri problemi”.