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La risposta del Papa alla grave crisi umanitaria dovuta alla mancanza di vie legali di accesso per migranti e profughi in Europa (e in particolare in Italia), è arrivata questo sabato mattina, quando Francesco ha ricevuto nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, alcune migliaia di rifugiati arrivati nel nostro Paese attraverso i corridoi umanitari. Con loro, i rappresentanti e gli operatori delle organizzazioni cristiane che, a partire dal 2016, hanno dato vita all’iniziativa.

La lapide della discordia

Francesco ha ascoltato alcune testimonianze di sopravvissuti alla guerra in Siria e «all’inferno della Libia», quindi ha tenuto un breve intervento, prevalentemente a braccio, autorizzando però la pubblicazione del discorso integrale dove ci si riferiva anche al recente naufragio di Cutro di fronte alle coste calabresi.

Il pontefice ha ripetuto come aveva già fatto in altre occasioni, che «il Mediterraneo si è trasformato in un cimitero» e ha richiamato le testimonianze dei rifugiati passati attraverso i campi di detenzione in Libia, «i lager libici, terribile», e «il traffico di esseri umani» di cui i lager sono il simbolo.

Quindi ha detto: «I corridoi umanitari sono stati avviati nel 2016 come risposta alla situazione sempre più drammatica nella rotta Mediterranea. Oggi dobbiamo dire che quell’iniziativa è tragicamente attuale, anzi, più che mai necessaria; lo attesta purtroppo anche il recente naufragio di Cutro. Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta».

Parole come pietre dette dal vescovo di Roma, dopo che, in modo frettoloso e forse improvvido, il governo aveva fatto apporre una lapide in memoria dei morti nel naufragio nel municipio di Cutro, scoperta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, contenente una frase presa da un recente intervento del papa (per altro incompleta) in cui si condannavano i «trafficanti di esseri umani».

Una scelta che non è piaciuta né in Vaticano né alla Cei, anche perché compiuta da un governo nel quale sono presenti forze xenofobe che da sempre hanno speculato sulla paura delle migrazioni invocando frontiere chiuse e respingimenti.

Estendere i corridoi umanitari

Francesco invece, con toni pacati e certamente non polemici, ha richiamato la politica alle proprie responsabilità: «Occorrono ancora molti sforzi – ha detto – per estendere questo modello (i corridoi umanitari, ndr) e per aprire più percorsi legali per la migrazione. Dove manca la volontà politica, i modelli efficaci come il vostro offrono nuove strade percorribili. Del resto, una migrazione sicura, ordinata, regolare e sostenibile è nell’interesse di tutti i paesi. Se non si aiuta a riconoscere questo, il rischio è che la paura spenga il futuro e giustifichi le barriere su cui si infrangono vite umane».

Quindi ha aggiunto: «In realtà, la storia europea si è sviluppata nei secoli attraverso l’integrazione di popolazioni e culture differenti. Non abbiamo allora paura del futuro!». «I corridoi umanitari – secondo Francesco – non solo mirano a far giungere in Italia e in altri Paesi europei persone profughe, strappandole da situazioni di incertezza, pericolo e attese infinite; essi operano anche per l’integrazione, perché non c’è accoglienza senza integrazione».

Vite salvate

I corridoi umanitari, in effetti, rappresentano una sorta di modello italiano, poi esteso ad altri paesi europei fra cui Francia e Belgio, in grado di garantire un accesso legale e sicuro a quanti fuggono da guerre, persecuzioni, fame; con questo strumento dal febbraio 2016, 6.080 persone hanno potuto raggiungere l’Europa (oltre 5mila la sola Italia) in sicurezza. I paesi di origine dei rifugiati più rappresentati sono Siria, Eritrea, Afghanistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Iraq, Yemen, Congo, Camerun.

Si tratta di un’esperienza che nasce dalla collaborazione fra diversi organismi religiosi e laici – Sant’Egidio, Tavola valdese, Federazione chiese evangeliche, Conferenza episcopale italiana, Caritas, Arci, Istituto buddista italiano Soka Gakkai – e i governi che vigilano sugli ingressi e curano aspetti amministrativi e logistici (e che per questa ragione sono infatti stati ringraziati ieri dal Papa). Il lavoro di inserimento nelle comunità e nei territori, oltre che l’individuazione dei rifugiati bisognosi di aiuto, è a carico delle organizzazioni impegnate nel progetto.

In termini di numeri assoluti si tratta di un contributo ancora minimo di fronte al flusso di sbarchi e di arrivi, e tuttavia i corridoi costituiscono un esperimento consolidato capace di mostrare come esistano alternative praticabili rispetto al caos attuale, allo stesso tempo raccontano come sia possibile una collaborazione virtuosa fra istituzioni e società civile che superi la stucchevole polemica politica contro le navi delle ong che operano salvataggi in mare.

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