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Autonomia differenziata si chiama. È la bandiera della Lega. La vogliono il Veneto e la Lombardia. L’inseguono l’Emilia-Romagna e altre regioni per non rimanere indietro. Al sud è stata bollata come la “secessione dei ricchi”. Al nord è ritenuta la via dell’efficienza contro gli sprechi. Il ministro Roberto Calderoli ha scritto una bozza di legge controversa per accelerare, senza mediazioni, il processo devolutivo.

I governatori meridionali stanno alzando barricate. Copiato malamente dalla Costituzione spagnola, il regionalismo differenziato è uno dei frutti avvelenati del centrosinistra di governo. Nel 2001 volle riformare la Repubblica riducendo i poteri dello stato e aumentando quelli delle regioni. La Germania, negli stessi anni, ridimensionava il suo federalismo competitivo in senso cooperativo. I nostri risultati sono stati preoccupanti. La riforma del Titolo V ha creato conflitti enormi tra centro e periferie, distanziato di più nord e sud, ingrossando tanto l’amministrazione statale quanto quella regionale, tradendo semplificazione ed efficienza.

Quella riforma fu negata dal centrodestra. Ritenuta troppo poco audace, Berlusconi e Bossi, con Fini contrario, le contrapposero una grande riforma, con la promessa della devolution, ritenuta il “vero federalismo”. Bocciata nel referendum del 2006, i partiti tentarono la strada del federalismo fiscale: una redistribuzione di denari per rendere più efficiente la spesa regionale e locale.

Fu un fallimento, arenatosi sull’ardua questione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l’unità di misura della spesa pubblica, il presupposto di un’autonomia responsabile. Dopo il vacuo tentativo di riordinare le competenze regionali fatto da Renzi, Veneto e Lombardia hanno ripreso la lotta per la devolution, coprendo la voglia di secessione con la maschera del regionalismo differenziato. Finora è andata in scena solo una commedia degli errori. La posta in gioco è tutta economica.

Le regioni più efficienti chiedono di trattenere le risorse che il fisco raccoglie lì per ridistribuirle in tutto il paese, pensando di poter fare meglio. Una storia nota: è il nodo che in Spagna portò i Baschi alla lotta armata e, più di recente, la Catalogna a chiedere la secessione. Nel primo caso, il denaro trasferito da Madrid a Bilbao fece cessare le armi. Nel secondo, i soldi non son bastati a placare gli egoismi (ci hanno pensato per ora la polizia e la pandemia). Anche da noi la domanda di un regionalismo differenziato nasconde identità inesistenti e un’esecranda fame dell’oro.

La Repubblica è già una veste di Arlecchino, con divisioni territoriali acute, con squilibri nord-sud irrisolti, con una diseguale distribuzione della ricchezza (il reddito di un calabrese vale un terzo di quello di un lombardo). I problemi dell’autonomia differenziata sono molti. Nel progetto Calderoli non si vuole che il parlamento controlli le intese tra il governo e la singola regione, negando rilievo al quadro nazionale delle risorse. C’è poi la garanzia dell’eguaglianza e la rimozione degli ostacoli che si frappongono al godimento di diritti per tutti, indipendentemente dal luogo di residenza.

V’è soprattutto il fine della coesione sociale ed economica imposta dal contesto. La crisi economica ha mostrato i limiti di politiche sociali frammentate e divisive. Nella pandemia sono stati i sistemi sanitari di Lombardia, Veneto ed Emilia, i più efficienti d’Europa, a scoperchiare il vaso di Pandora di un regionalismo senza solidarietà. Viceversa, l’odiata Unione europea s’è resa disponibile a superare l’idea per cui ciascuno può farcela da solo, creando un debito comune per la resilienza degli stati membri e dei loro territori.

Next Generation Eu e il Pnrr stabiliscono programmi di finanziamento che impongono una direzione unitaria e coerente delle politiche di bilancio. Impongono quindi di ridurre le fratture, specie dove sono marcate, come in Italia. Come si concilia quel programma con una differenziazione regionale che si vorrebbe senza centro? Come far crescere i territori più poveri se si aumenta la forbice con quelli ricchi? La Repubblica delle autonomie deve essere rivista. Oggi, però, è il tempo della solidarietà, non degli egoismi.

Il freno della presidente Meloni a Calderoli è un segnale, come la proposta di agganciare il federalismo al presidenzialismo, per dire che la strada è lunga e difficile. Essenziale sarà non dimenticare né le divisioni storiche della nostra geografia politica, né l’esigenza di rinnovare il paese in modo coerente con l’integrazione europea e il fine costituzionale della solidarietà sociale ed economica.

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