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Cuneo fiscale - Foto di pexels.com
Cuneo fiscale – Foto di pexels.com

Monta la polemica sul taglio al cuneo fiscale previsto nella manovra economica del governo Meloni. Il motivo è che la differenza tra il costo per l’azienda e quello che il dipendente si trova netto in busta paga è elevato, ma quasi tutta la differenza finisce in modo indiretto o differito a quest’ultimo. Sono soldi o benefici che incassa come previsto dai contratti nazionali.

L’inganno, secondo i critici, sta nel fatto che dovrebbe essere noto che il 75% dei lavoratori dipendenti che dichiarano fino a 26mila euro lordi annui, e ai quali si vorrebbe ridurre il cuneo, non sono oppressi dalle tasse.

Cuneo fiscale: perché non funziona

Nel 2019 i lavoratori con redditi fino a 15mila euro hanno un’Irpef negativa, cioè a credito. Fino a 26mila euro versano meno di quello che costano come sola sanità, grazia al Trattamento integrativo del reddito e all’assegno unico e universale per i figli. Dopo i 26mila euro pagano qualcosa, anche se meno di chi dichiara dai 35mila euro lordi in su.

L’idea del Pd: il cuneo contributivo

Per ridurre il cuneo, il Pd durante la campagna elettorale ha parlato della decontribuzione, promettendo anche 14 mensilità. Per aumentare la somma in busta paga proponeva che lo Stato di facesse carico una parte del 9,19% di contributi a carico dei lavoratori, senza però ridurne la pensione.

Il cuneo contributivo è la differenza tra lo stipendio netto in busta paga e il costo dell’azienda che comprende imposte e contributi. Anche questo non è riducibile, se non riducendo la futura pensione.

Cuneo fiscale: cos’ha fatto Draghi

Una novità potrebbe essere quella introdotta dal governo Draghi con i 600 euro esentasse e contributi e i 60 euro del bonus trasporti. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha aumentato questi importi fino a 3mila euro per il 2022 oltre al buono benzina del 15% netto che consentirà di recuperare l’inflazione la perdita del potere reale del 2,9%.