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La Russia sembra essersi già adattata all’embargo dell’Unione europea sul diesel e la benzina. L’India ha un ruolo decisivo. Tutti i dettagli. L’approfondimento di Sergio Giraldo

Ci sono due modi per affrontare gli ostacoli: schiantarsi contro di essi o aggirarli. Oggi, 5 febbraio, inizia l’embargo dell’Unione europea sui prodotti petroliferi russi. E sembra proprio che la Russia si sia adattata e, con la collaborazione di altri paesi, aggirerà l’ostacolo. Il divieto di importare diesel e benzina russi è entrato in vigore in Europa dopo il divieto di importare greggio russo e dopo l’imposizione del meccanismo di price cap sullo stesso, fissato a 60 dollari al barile da G7 ed Unione europea.

COSA FA L’INDIA CON IL GREGGIO RUSSO

Il veto europeo agli acquisti ha fatto dell’India (che non applica alcun embargo) uno dei maggiori importatori di greggio russo. Secondo i dati di Vortexa, nel dicembre scorso la Russia ha esportato in India oltre 1 milioni di barili al giorno di greggio, diventando il maggior fornitore del paese con una quota del 25% e sbaragliando i tradizionali esportatori Iraq e Arabia Saudita. Per gennaio si stima che gli acquisti siano già saliti a una media di 1,7 milioni di barili al giorno, portando la quota di importazioni dalla Russia vicino al 30% del totale. Solo un anno fa la Russia rappresentava lo 0,2% delle importazioni indiane, dunque si tratta di un aumento a dir poco spettacolare.

L’aspetto tragicomico della vicenda è che in India il greggio russo viene raffinato e i prodotti poi vengono venduti in Europa, quella stessa Europa che ha vietato di importare greggio e prodotti petroliferi dalla Russia. Le sanzioni USA e Ue sulle esportazioni di petrolio russo infatti “non si applicano ai prodotti raffinati ottenuti dal greggio russo esportato da un paese terzo in quanto non sono di origine russa”, come recitano le linee guida delle sanzioni. Siamo quindi in presenza di una sorta di girotondo planetario: l’India compra il greggio russo che l’Europa non vuole più e rivende a quest’ultima i prodotti raffinati da quello stesso greggio.

Già lo scorso dicembre l’Europa ha importato 1,12 milioni di tonnellate di diesel dall’India e per gennaio si prevede di superare 1,5 milioni di tonnellate, con la capacità produttiva nel subcontinente indiano satura al 95%. In Belgio il vascello Tarif, battente bandiera liberiana, dopo un viaggio di tre settimane scaricherà 100.000 tonnellate di diesel nel porto di Antwerp, originate nel porto indiano di Jamnagar. Analoga, anche se con valori diversi, è la situazione degli Stati Uniti, i quali a loro volta iniziano a contare maggiormente sulle importazioni dall’India.

L’effetto pratico dell’embargo e del price cap è quindi che nel percorso che porta dai pozzi petroliferi russi alla pompa di benzina in Europa si è aggiunto un passaggio, in India, appunto. Quest’ultima, oltretutto, incamera lauti profitti, poiché il greggio russo, evitato dai mercati occidentali, costa poco più della metà degli altri greggi mentre le quotazioni di gasolio e benzina si basano sui prezzi dei greggi OPEC. Di fatto, l’Europa sta arricchendo le raffinerie indiane, che sui prodotti hanno un margine molto superiore rispetto alle raffinerie occidentali.

Va detto che l’India, per avendo aumentato l’import di greggio dalla Russia in maniera così vistosa, non ha però diminuito i flussi in entrata dagli Stati Uniti, forse nel tentativo di preservare un certo equilibrio tra i due colossi.

LE RAFFINERIE IN MEDIORIENTE VENDONO DIESEL SOPRATTUTTO ALL’EUROPA

La combinazione di questi fattori sta orientando i raffinatori di Medio Oriente e India a fornire il proprio diesel prioritariamente all’Europa, diminuendo l’offerta per il mercato asiatico proprio mentre l’economia cinese, dopo i lockdown, sta per ripartire. Il che, quasi certamente, in presenza di una significativa ripresa cinese, significherà per l’Europa un aumento dei prezzi alla pompa dei prodotti raffinati. Di questo gioco fa parte anche la Turchia, che del tutto analogamente all’India può contare sul greggio russo a buon mercato e può esportare liberamente i propri distillati in Europa.

Discorso a parte vale per la Cina, in cui le raffinerie in grado di produrre il diesel con le specifiche richieste dall’Unione europea sono solo una parte del parco impianti. Inoltre, il governo di Pechino impone ai raffinatori quote massime di esportazione, per un totale annuo di 19 milioni di tonnellate. La distribuzione delle esportazioni sui mesi da parte delle compagnie è dunque una variabile in più.

IL COMMERCIO RUSSIA-UE

Intanto, nelle ultime settimane il diesel proveniente dalla Russia continua ad inondare l’Europa. A gennaio non concluso l’import era già arrivato a 3,54 milioni di tonnellate, superando quindi il record storico, stabilito appena nel dicembre 2022, di 3,53 milioni di tonnellate. Si tratta di una corsa all’ultimo barile russo: è evidente lo sforzo delle compagnie europee di approvvigionarsi sino all’ultimo e il più possibile dalla Russia per rimpinguare le scorte prima dell’inizio dell’embargo.

Belgio, Germania, Grecia e Olanda sono i maggiori importatori di diesel russo, che, sempre nel mese di gennaio, pesa per il 47% sul totale delle importazioni. Un altro 20% arriva dall’Arabia Saudita, un 8% dall’India e un 7% dagli USA. In gennaio i flussi in uscita dall’Europa del prodotto distillato vedono un drastico calo verso gli Stati Uniti (-56%) rispetto a dicembre 2022. Chiaro il tentativo europeo di accaparrarsi scorte, che infatti a dicembre e gennaio sono risalite dai minimi dello scorso luglio.

Di fronte a tali epocali movimenti sui fondamentali del mercato petrolifero, desta davvero molte perplessità la disputa tutta italiana sulla famigerata speculazione e sui cartelli da esporre nelle stazioni di servizio.

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