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Il colosso taiwanese sta ancora valutando la costruzione di una fonderia a Dresda, nonostante il supporto del governo federale. Alcune voci a Taipei accusano l’Ue: nessun impianto senza accordo commerciale. Intanto, Tsmc sbaraglia la concorrenza…

Si tratterebbe di un investimento significativo e in grado di rafforzare la presenza dell’azienda sul mercato europeo, isolandola da possibili contraccolpi geopolitici. Tuttavia, sembrano ancora esserci alcuni dubbi sull’inizio dei lavori per la costruzione di una fonderia (fab) di Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (Tsmc) a Dresda, in Germania.

L’annuncio, trapelato lo scorso dicembre, aveva confermato le indiscrezioni secondo cui Tsmc stava valutando l’opportunità di espandere il business sul mercato europeo, in particolare agganciandosi al segmento automotive tedesco. La progressiva penetrazione dell’industria dei veicoli elettrici (EV), infatti, rappresenta un importante volando di crescita anche per i chipmakers e richiede una tecnologia più matura e con nodi meno avanzati (sopra i 22 nanometri). Secondo l’azienda, tra i prodotti potenzialmente offerti ci sarebbero i sistemi di microelettronica (MEMS), le memorie flash (eFlash), i semiconduttori complementari (CMOS) e infine i sensori.

La presenza e l’espansione di Tsmc nel cuore dell’industria automotive europea rappresenterebbe un importante cuscinetto per la supply chain che ha fortemente risentito della crisi pandemica e della conseguente carenza di microchip sul mercato. Inoltre, l’impegno e gli annunci dei grandi produttori tedeschi come Volkswagen, BMW e Mercedes verso l’elettrificazione della flotta ha attirato nuovi investimenti esteri, come quello di Wolfspeed, leader insieme a STMicroelectronics nella produzione di microcontrollori per automotive e industria robotica.

Dresda, inoltre, rappresenta un hub molto promettente per Tsmc, soprattutto per la presenza di un’ecosistema dei chip solido e che annovera impianti produttivi del calibro di Infineon Technologies AG, Robert Bosch GmbH, Global Foundries, NXP Semiconductors NV e di fornitori di equipaggiamento e materiali specialistici come Applied Materials, ASML e Siltronic.

Nella giornata di lunedì Tsmc ha confermato che l’investimento rimane in considerazione, ma probabilmente l’inizio della costruzione verrà posticipata al 2025. Tsmc sta già costruendo in Arizona, negli Usa, approfittando degli incentivi del CHIPS Act, un impianto all’avanguardia per la produzione di chip da 4 e 3 nanometri con l’avvio delle operazioni in scala previsto rispettivamente nel 2024 e nel 2026. Anche il Giappone ha attirato gli investimenti del colosso taiwanese, che prevede di espandere la sua presenza con i processi produttivi da 12, 16 e 22 nanometri con l’inizio delle attività nel 2024.

L’indecisione sembra dovuta al fatto che nel segmento automotive la ripresa si è consolidata dopo più di due anni di difficoltà, con la penuria di chip che sembra ormai superata. Ora, infatti, gli OEMs europei possono comunque contare sull’espansione delle capacità produttive negli Usa e in Giappone, riuscendo così a piazzare ordini di acquisto per i microcontrollori. Inoltre, secondo gli analisti, le fluttuazioni dell’economia e i tassi d’inflazione alti rendono gli investimenti in Europa molto più costosi rispetto a quelli oltreatlantico e in Asia. Un problema che, non a caso, si è riflesso anche in altri settori, come quello delle batterie.

Vi è inoltre un’altra possibile spiegazione. Secondo un editoriale pubblicato sull’agenzia di stampa taiwanese, l’Ue non dovrebbe beneficiare di un impianto di produzione di Tsmc fino a quando la Commissione europea non avvierà dialoghi più concreti con Taipei sul piano commerciale. Per salvaguardare le sue industrie di punta (come quella automobilistica) e assicurarsi un posto al sole nei settori emergenti (5G, IoT, IA), l’Europa ha pubblicato l’European Chips Act per attirare investimenti delle principali aziende di semiconduttori, come appunto Tsmc, Intel e Samnsung. Senza di questi, l’Europa non potrà avere fab all’avanguardia e così la sicurezza delle supply chain strategiche. Si tratta, dunque, di un punto cruciale: l’utilizzo della tecnologia come arma negoziale per strappare condizioni politiche favorevoli.

Tsmc, comunque, rimane in una posizione di privilegio. Secondo un report pubblicato dal National Science and Technology Council di Taiwan, i tre principali parchi tecnologici che circondano letteralmente l’azienda (Hsinchu, Central Taiwan e Southern Taiwan Science Park) hanno registrato entrate per 139.3 miliardi di dollari solo nel 2022, una crescita quasi del 15% su base annuale. Nell’area meridionale, con l’inizio della produzione di chip a 5 nanometri la crescita è stata vertiginosa. Oltre ad aver contribuito nel complesso al prodotto interno lordo dell’isola, i parchi scientifici di Taiwan si confermano un punto nodale dell’intera industria high-tech globale. Il segmento dei semiconduttori rimane il primo in termini di entrate, cresciuto del 22%, seguito dall’industria dei personal computer (+30%), delle telecomunicazioni (+25%) e dei macchinari di precisione (+10%) su base annuale.

Con quasi il 60% del mercato dei chip maturi e il 92% dei chip alla frontiera tecnologica (sotto i 5 nanometri), Tsmc ha consolidato la sua posizione anche in una finestra di mercato chiusa in negativo nel quarto quadrimestre del 2022, complici la frenata economica globale, l’inflazione e lo spettro recessivo che hanno visto un declino del mercato foundry del 4.7%, con un calo degli ordini delle aziende fabless come AMD e Nvidia. Secondo la società di ricerche TrendForce, Tsmc ha ampliato il gap con la rivale Samsung che ora si attesta sui 40 punti percentuale. Anche Intel, che ha di recente rimesso in discussione il suo business model (IDM), ormai non più solidamente integrato tra design e produzione di chip, ha ammesso che gli strumenti a disposizione rimangono del 20-25% meno efficienti degli equivalenti impiegati da Tsmc.

Una centralità tecnologica che resiste anche alle fluttuazioni dell’economia, e che dimostra quanto il mercato sia consapevole che, nonostante gli alti e bassi dovuti alla crisi energetica e alle incertezze geopolitiche, la crescita dei semiconduttori – segmento cruciale per il futuro – sarà decisa principalmente dal futuro di questa azienda.

Ne è consapevole anche l’establishment degli Stati Uniti. In un’intervista su Semafor, Robert O’Brien, precedente consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, ha ammesso che gli Usa e gli alleati dovrebbero abbattere gli impianti di produzione di chip di Tsmc nel caso in cui la Cina invadesse, con successo, l’isola. Una mossa dolorosa, ma che sarebbe necessaria per evitare che Pechino entri in possesso degli asset strategici per il controllo dell’economia globale. Una posizione che tuttavia lascia alcune perplessità, dal momento che molto difficilmente tali impianti potrebbero risultare operativi in seguito ad un conflitto convenzionale e, soprattutto, senza la cooperazione degli ingegneri taiwanesi e il funzionamento della supply chain su cui Tsmc ha costruito il suo impero.

Un impero la cui espansione, anche in Europa, sarebbe di fondamentale importanza per la condivisione del know-how e il rafforzamento della supply chain tecnologica.