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L’Armenia (e l’Artsakh), essendo un Paese che è legato da sempre all’Unione Sovietica prima e alla Federazione Russa poi, ha pagato carissimo ogni suo tentativo di occidentalizzazione, considerando che la sicurezza dei suoi confini è in qualche modo garantita solo dai russi. L’intervento di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud

Hanukkah è tempo di resistenza e di coraggio. E questi sono i giorni santi di Hanukkah.

Rachel Margolis, la bibliotecaria del ghetto di Vilnius durante l’imperversare della persecuzione nazista, racconta che nel ghetto c’era la lista d’attesa per poter leggere I Quaranta giorni del Musa Dagh di Franz Werfel, l’opera che narra la persecuzione e il genocidio degli armeni nell’Impero ottomano tra il 1915 e il 1922. Gli ebrei, perseguitati e segregati, leggevano questo romanzo perché “descriveva sorti simili alle nostre in quel tempo”, nel disinteresse e nel silenzio del mondo libero.

Hershel Rosenthal nell’organizzare la resistenza, a ogni costo, del ghetto di Bialistok, disse: “L’unica opzione che ci è rimasta è fare di questo ghetto il nostro Musa Dagh, aggiungendo un ultimo onorevole capitolo alla storia della Bialistok ebraica e al nostro movimento, la Shomer HaTzaìr”. Mordechai Tenenbaum scriveva, il 23 marzo 1943, che lo spirito dei resistenti armeni del Musa Dagh animava lui e i suoi compagni nel resistere alle vessazioni naziste.

L’Armenia soffre da anni, specie nella regione dell’Artsakh, territorio conteso nelle montagne e abitato da armeni, le continue aggressioni turche e azere, congiuntamente. Dalla pandemia a oggi, strategicamente, è stata colta ogni occasione per attaccarli, nel silenzio assordante del mondo libero.

In queste ore la situazione è precipitata ulteriormente ed è stato chiuso il Corridoio di Laçhin, l’unica strada che collega tale regione autonoma con l’Armenia. Questi armeni di montagna sono stretti in una morsa mortale, isolati senza transito di beni e servizi, con l’immediata possibilità di una catastrofe umanitaria. L’Armenia (e l’Artsakh), essendo un Paese che è legato da sempre all’Unione Sovietica prima e alla Federazione Russa poi, ha pagato carissimo ogni suo tentativo di occidentalizzazione, considerando che la sicurezza dei suoi confini è in qualche modo garantita solo dai russi.

Stante l’odierna situazione internazionale, e la guerra russo-ucraina, il rischio reale è il totale disinteresse delle democrazie occidentali al riguardo, dato che ciò espone tutti a un ginepraio immenso. Un popolo, quello armeno, che soffre, ignorato per calcolo e comodità, esposto al costante rischio di essere fatto scomparire (dopo aver patito un genocidio!) in un assordante e ubiquo silenzio. L’indifferenza strumentale e colpevole dell’Occidente, unita alle ciniche strategie caucasiche di Putin.

Erdogan lo sa benissimo, eccezionale e attendista stratega qual è, erede di secoli di diplomazia ottomana -differentemente dagli improvvisati e sgangherati occidentali-, specie ora che si è ritagliato un ruolo geopolitico straordinario, concessogli dall’Occidente. E lo sanno beni gli azeri, che ci possono ricattare con il gas, e noi tutti soffriamo molto il freddo, ‘sicuri nelle nostre tiepide case’. In primo luogo, il freddo gelido dell’assenza di idee decenti che animino la vita individuale e di società libere e democratiche.

Per gli armeni c’è una nuova possibilità di sconfitta; o la necessità di chinare il capo dinanzi agli eredi di coloro che ne fecero già carne da macello, mai condannati e mai rinnegati; o, ancora, la possibilità, molto concreta, di un’ulteriore pulizia etnica.

Dobbiamo intervenire, e subito, a favore degli armeni. Scuotiamo le nostre coscienze e reagiamo! Non è tollerabile che questo piccolo e antico popolo nuovamente debba patire umiliazione, terrore e morte e non è possibile che, ancora una volta, i loro aguzzini, eredi dei loro trisavoli, la facciano franca e imperversino, giostrando con abilità e ricatti le diplomazie occidentali, purtroppo tutt’altro che innocenti.

Oggi bisogna difendere, a ogni costo, questi armeni di montagna, questo contemporaneo Musa Dagh, il che significa, a ben vedere, difendere anche noi stessi e la libertà.