1943:-“popolazione”-di-monterotondo-contro-i-tedeschi?-un-mito-resistenziale:-erano-in-due
Andrea Cionci

Andrea Cionci

Storico dell’arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall’Afghanistan e dall’Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo “Eugénie” (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi – vive una relazione complicata con l’Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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E’ sempre un momento durissimo per gli aedi della vulgata resistenziale quando emergono i dati d’archivio, soprattutto se militari, che riferiscono una realtà storica completamente diversa o drasticamente ridotta.

Ecco perché poi si è costretti a ricorrere alla censura e a toppe che si rivelano peggiori del buco. L’ultimo caso riguarda il comune di Monterotondo, vicino Roma, teatro di aspri combattimenti appena successivi all’8 settembre 1943 fra soldati italiani e parà tedeschi. Gli scontri sono stati ricostruiti da Guido Ronconi, un ricercatore di storia militare, che vive in Germania, parla tedesco e frequenta gli archivi militari. Nel 2003, frugando tra le carte del Militärarchiv di Friburgo, si imbatte in una documentazione inedita delle unità di Fallschirmjäger tedeschi che furono aviolanciate su Monterotondo, il 9 settembre 1943, per conquistare il palazzo Orsini dove aveva sede lo Stato Maggiore del Regio Esercito. Ronconi ha poi confrontato queste informazioni con i dati degli archivi storici del nostro Esercito e dei Carabinieri e, infine, con quelli dell’archivio militare francese, che possiede molti documenti video-fotografici di preda bellica.

Gli ex alleati germanici sapevano da un pezzo del voltafaccia di Badoglio: si erano premuniti per catturare i generali italiani in modo che non potessero dare ordini. Fatica sprecata: non solo gli ordini non furono impartiti, a prescindere, ma soprattutto Badoglio e Roatta si erano già imbarcati per Brindisi con il Re, lasciando vuoto il castello. Comunque, dato che i tedeschi incrociarono la nostra divisione Piave che si dirigeva verso Tivoli, ingaggiarono un combattimento che lasciò 54 di loro sul terreno e non 300-350 come tramandato sino ad oggi.

Ronconi ha così proposto all’Istituto di Cultura di Monterotondo di pubblicare un libro, da lui iniziato a scrivere nel 2015 (e da poco pubblicato in Germania, in tedesco). L’iniziativa fu accolta dal curatore, Paolo Togninelli che non badò all’avvertimento dell’autore: “Guardi che, da quanto emerso, alcune pagine della resistenza potrebbero uscirne radicalmente ridimensionate…”.

Il volume “Sprungeinsatz Monterotondo”, viene così stampato nel 2021, dopo tre anni di attesa dalla firma del contratto, in 600 copie, per la cifra di 10.805,20 euro di denaro pubblico. Ma non è mai stato venduto o distribuito. Nemmeno la Biblioteca comunale del paese dice di possederlo. Al Comune dicono che sarà venduto presso i Musei civici “dopo la fine dei lavori”, ma dal museo negano che vi siano lavori in corso.

Il motivo? Ronconi presume che il libro sia stato ritirato per proteste dell’Anpi locale che, da sempre sostiene come agli scontri avesse partecipato eroicamente una non meglio specificata “popolazione civile”, con una sorta di resistenza ante litteram, primo sussulto della nuova Italia antifascista. Secondo il vicepresidente Anpi Enrico Angelani, fu “il primo episodio della resistenza e l’occasione per organizzare un vero e proprio nucleo partigiano”.

In due pagine del volume di Ronconi, si fa luce sulla presunta partecipazione agli scontri di questa “popolazione civile”: due ragazzi, di cui è noto solo il nome di uno, Dario Ortenzi. Era un 17enne che si trovava nei campi, fece da guida a una pattuglia di soldati italiani e, poi, prese parte ai combattimenti guadagnandosi una medaglia d’argento. Anche il recente libro di Massimo Lucioli – Massimo Castelli “Monterotondo 9 settembre 1943” smentisce la leggenda rossa: “Solo tre o quattro persone, tra le molte decine di civili chiusi nel Castello, chiesero ai militari delle armi per poter partecipare agli scontri, ma ciò non fu possibile per mancanza di armi e munizioni. […] Quindi la partecipazione ai combattimenti di masse di civili in armi, tanto declamata ed enfatizzata nel dopoguerra, è smentita non tanto nei fatti, perché qualche civile effettivamente partecipò, bensì nei numeri, che furono, in realtà, totalmente irrisori”.

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Commenta amaramente Ronconi: “Ovviamente sto valutando azioni legali nei confronti del Comune, perché non posso accettare che il frutto di anni di ricerche venga semplicemente censurato. Se l’avessi saputo mi sarei rivolto a un altro editore, mentre ho deciso di offrire il libro a Monterotondo perché ero, e sono tuttora, consapevole dell’importanza di questi avvenimenti per la cittadinanza e volevo quindi fare cosa gradita ai cittadini tutti”.

Ma, si sa, la verità è un dono gradito a pochi.

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A beneficio dei lettori, Ronconi sintetizza di seguito le leggende resistenziali che riguardano Monterotondo, riprese e diffuse dall’ANPI, locale e non, a ogni occasione.

Partecipazione massiccia di civili ai combattimenti contro i paracadutisti tedeschi, al fine di spacciare la favola dell’insurrezione popolare spontanea contro l’invasore nazista (!). In nessuno dei documenti da me consultati, provenienti dall’Ufficio Storico dell’Esercito, dall’Ufficio Storico dei Carabinieri, dall’archivio comunale di Monterotondo e dal Militärarchiv di Friburgo (archivio esercito tedesco), quindi sia da parte italiana sia da parte tedesca, viene menzionato l’intervento di civili, tranne quello di due ragazzi, di cui uno solo noto per nome, Dario Ortenzi, decorato di medaglia d’argento al valore militare. Solo la motivazione della decorazione (Medaglia di Bronzo al Valor Militare) al Ten. dei Carabinieri Garroni ne fa menzione, ma parla di Mentana e non Monterotondo, inoltre la motivazione, ovvero aver armato e guidato i civili di Mentana contro i paracadutisti e infliggendo loro gravi perdite (!), appare totalmente fantasiosa. Basterebbe la logica a smentire la teoria della partecipazione dei civili: all’epoca Monterotondo aveva circa 7500 abitanti, se qualcuno avesse effettivamente partecipato ai combattimenti si sarebbe saputo, visto che tutti più o meno all’epoca si conoscevano, e sarebbe stato, giustamente, onorato negli anni a venire, come effettivamente avvenuto con Ortenzi. Invece si è sempre parlato genericamente di civili, senza mai citarne i nomi e cognomi, e questo solo fatto dovrebbe bastare a smentire questa balla resistenziale. Castelli e Lucioli nel loro libro, pur non avendo consultato fonti di archivio, giungono ovviamente (pagg. 31-32), e non poteva essere altrimenti, alle stesse mie conclusioni. È comunque una vera fortuna i civili non parteciparono in massa ai combattimenti! Se ciò fosse avvenuto e dei civili armati fossero stati catturati dai tedeschi, questi avrebbero avuto il diritto di fucilarli!

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(Il castello Orsini)

I combattimenti di Monterotondo furono il “primo episodio della Resistenza e l’occasione per organizzare un vero e proprio nucleo partigiano” (Enrico Angelani, Valeria Frangiolini, Edgardo Prosperi “Resistenze a Monterotondo”, pag. 162), nonché “Monterotondo fu la prima città italiana a insorgere contro l’aggressione nazista” (Valter Sbergamo, “Itinerario sui luoghi della Resistenza a Monterotondo”, Fuorilinea, Monterotondo, 2021, pag. 13).Non è infrequente trovare, in commenti sul web così come in opere cartacee, il tentativo di spacciare i combattimenti delle truppe italiane contro i tedeschi a Monterotondo come un episodio di “resistenza”, motivato da presunti sentimenti antifascisti delle truppe italiane.

Il tentativo di rivestire di una cornice antifascista un combattimento dettato in primissima istanza da un primordiale istinto di sopravvivenza, dalla reazione ancestrale di autodifesa di fronte a un’aggressione improvvisa e pericolosa, sembra tuttavia veramente fuori luogo. Quanto questo tentativo sia puerile e destinato all’insuccesso è ampiamente dimostrato dall’analisi degli avvenimenti tali e quali essi accaddero.

Se, per assurdo e a solo fine dialettico, dovessimo invece accreditare di ideali resistenziali e antifascisti ante litteram l’aliquota di soldati italiani che si batté a Monterotondo, dovremmo di conseguenza, logicamente, attribuire un più o meno acuto sentimento fascista e filotedesco a quanti, ed è universalmente noto che furono la maggioranza, che invece non si batterono, non solo a Roma e dintorni, arrendendosi ai tedeschi senza combattere, o dopo una resistenza di facciata.

È evidente quindi quanto questo sillogismo sia assurdo e infondato, e allo stesso modo l’accurata analisi degli avvenimenti rende evidente quanto assurdo e infondato sia assegnare ai militari italiani di Monterotondo la patente di “resistenti” e pretendere per loro un primato di reazione patriottica all’aggressione nazifascista…

Molto semplicemente: i soldati che presero le armi contro i tedeschi lo fecero perché erano lì per quello, per difendere il castello Orsini e lo SMRE ivi dislocato da attacchi esterni. Avrebbero combattuto anche se l’armistizio non fosse stato dichiarato e ad attaccarli fossero stati paracadutisti americani o inglesi, ma il corso degli eventi fece sì che i loro avversari fossero tedeschi.

Quindi appare chiaro che ogni tentativo di “vestire” i combattenti italiani di Monterotondo di colori ideologici antifascisti sia profondamente errato e rappresenti solo un subdolo tentativo di sfruttare a posteriori e per fini chiaramente politici avvenimenti di natura ben diversa. Chi insiste su questa strada è in malafede, lo dice la logica prima ancora della copiosa documentazione d’archivio esistente!

Per completezza, riportiamo le considerazioni di Guido Ronconi sulle leggende resistenziali che riguardano Monterotondo, riprese e diffuse dall’ANPI, locale e non, a ogni occasione.

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I combattimenti di Monterotondo come “primo episodio di sconfitta dell’esercito d’occupazione tedesco ad opera delle truppe italiane” (citazione dal libro di Enrico Angelani “L’8 settembre”, EDUP, Roma, 2005, pag. 18) nonché Monterotondo come “L’unica [città] a mettere in fuga i temibili diavoli verdi di Student” (Valter Sbergamo, “Itinerario sui luoghi della Resistenza a Monterotondo”, Fuorilinea, Monterotondo, 2021, pag. 13).

Innanzitutto va precisato che i tedeschi, all’8 settembre 1943, non erano truppe d’occupazione, bensì erano arrivati in Italia come alleati su precisa richiesta italiana.

Ciò acclarato, riveste effettivamente un certo interesse rispondere alla domanda: chi ha vinto la battaglia di Monterotondo? Nella memoria collettiva di Monterotondo, forgiata da 80 anni di menzogne propinate a ogni occasione (e mai come in questo caso è vero che una menzogna ripetuta più volte diventa verità…) si è radicata la convinzione che i paracadutisti tedeschi si arresero.

In realtà dare una risposta corretta al quesito è piuttosto semplice.

È infatti sufficiente constatare quale dei due contendenti ha raggiunto il proprio obiettivo. Trattandosi di obiettivi diametralmente opposti, la realizzazione dell’uno comportando necessariamente il fallimento dell’altro, non potrà esservi dubbio alcuno.

Lo scopo dell’attacco tedesco su Monterotondo era, come noto, occupare il castello Orsini al fine di neutralizzare lo Stato Maggiore del Regio Esercito.

Lo scopo del presidio italiano di Monterotondo era di proteggere lo Stato Maggiore del Regio Esercito, sito nel castello Orsini, da attacchi di qualunque provenienza.

I paracadutisti di Gericke riuscirono a occupare il castello Orsini, raggiungendo così l’obiettivo prefissatosi.

Il presidio italiano non riuscì a impedire ai paracadutisti di occupare il castello Orsini.

Queste semplici evidenze portano inevitabilmente a concludere che il Major Gericke e i suoi uomini uscirono vittoriosi in quanto riuscirono a raggiungere l’obiettivo, mentre le forze italiane, agli ordini del Colonnello Angelini, non riuscirono ad assolvere il compito loro assegnato e risultarono pertanto perdenti.

È inoltre incontestabile che la grande maggioranza dei soldati italiani presenti a Monterotondo fu catturata dai tedeschi, di questi almeno circa 2500 furono rinchiusi nel castello Orsini e liberati solamente in seguito alla firma della tregua il 10 settembre.

Poco importa, poi, al fine di stabilire chi ha vinto e chi ha perso, constatare che lo Stato Maggiore del Regio Esercito non si trovava più nel castello al momento dell’ingresso dei paracadutisti.

Il fatto incontrovertibile è che l’obiettivo assegnato settimane prima dal General Student agli uomini di Gericke era stato raggiunto: le forze italiane erano state sbaragliate e la bandiera da guerra del III Reich sventolava al posto di quella italiana sulla torre del castello sede dello SMRE.

Dopo aver raggiunto l’obiettivo, i paracadutisti dovettero confrontarsi con la reazione italiana, manifestatasi tramite l’invio di unità della divisione “Piave”, quindi non facenti parte della guarnigione iniziale di Monterotondo, alla riconquista della cittadina laziale.

La tregua d’armi fu stipulata prima che l’attacco italiano potesse svilupparsi in tutto il suo vigore, ma si trattò comunque di un mutuo accordo e certamente non di una resa di Gericke. La situazione dei combattimenti a Roma influenzò pesantemente i responsabili italiani, inducendoli a stipulare la tregua anche se la situazione locale a Monterotondo era chiaramente a loro favore.

È probabile, senza che ovviamente vi possa essere certezza, che se non vi fosse stata la tregua il giorno successivo le forze italiane, grandemente superiori in numero ai tedeschi, avrebbero alla fine prevalso sui paracadutisti. Non bisogna comunque dimenticare che non sarebbe stato facile stanare i Fallschirmjäger dal castello Orsini: se un pugno di 32 carabinieri era riuscito a resistere per un’intera giornata, è difficile credere che un intero battaglione di paracadutisti, pur indebolito dalle perdite subite, non sarebbe riuscito a fare almeno altrettanto, considerando anche che la “Piave” avrebbe difficilmente potuto utilizzare le armi pesanti di cui disponeva per evitare di danneggiare le abitazioni e provocare ulteriori vittime fra la popolazione civile.

Certo è che i paracadutisti non si sarebbero arresi facilmente e che i combattimenti avrebbero richiesto un alto contributo di sangue ai contendenti e probabilmente anche alla popolazione di Monterotondo.

In ogni caso è più che evidente che il vincitore di una battaglia non scende certamente a patti con lo sconfitto. Pertanto il semplice fatto che le ostilità furono concluse con una tregua, in seguito alla quale le due parti abbandonarono il campo (la “Piave” fu richiamata a Roma lo stesso 10 settembre, mentre il II./FJR 6 aspettò gli autocarri inviati dall’XI. Fliegerkorps e lasciò Monterotondo l’11 settembre), è ampiamente sufficiente per concludere che la convinzione che i paracadutisti tedeschi si arresero non si basa su alcun fatto reale e concreto.

Piuttosto la convinzione di una vittoria italiana, che come si è detto è stata sparsa ad arte nel dopoguerra e tuttora viene propagandata a ogni occasione, ha poco a vedere con la storia e con la valutazione obbiettiva dei fatti e rileva più nel campo politico, a giustificazione di una più che fantasiosa primogenitura monterotondese di presunti quanto irreali aneliti resistenziali.

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(Fallschirmjaeger pronti all’aviolancio)

Le forze tedesche erano costituite da 800 o 900 uomini, le loro perdite ammontarono a 300-350 morti. Questi dati, errati, sono riportati in molte testimonianze dell’epoca. Effettivamente i testimoni oculari contarono i paracadute in cielo, ma questo erano usati sia per gli uomini sia per i contenitori con armi e munizioni! In realtà su Monterotondo si lanciarono esattamente 650 paracadutisti, le loro perdite ammontarono a 54 morti e 78 feriti (di cui 31 feriti leggeri – compresi i due piloti dell’unico aereo tedesco abbattuto dalla contraerea italiana – e 47 feriti gravi). È comprensibile che questi dati delle perdite tedesche calcolate durante la battaglia siano errati, meno comprensibile è che vengano ripetuti pedissequamente da quasi 80 anni e che nessuno si sia preoccupato di verificarli, cosa facilmente possibile scrivendo al WAST, equivalente tedesco del nostro Onorcaduti! Certo però fa comodo perpetuare la leggenda di un battaglione di paracadutisti tedeschi semidistrutto dagli eroici civili di Monterotondo…